CH3-CH2OH + O2 à CH3-COOH + H2O
per opera di microrganismi “selvaggi” del gruppo dei batteri fra i quali Bacterium aceti, B. oxidans, B. acetigeneticum, B. xylinum, Mycoderma aceti - dal greco μὑκης, fungo, e δἐρμα, pelle - e altri) tutti aerobi e ossidanti.
Riproducendosi (in ottime condizioni da una cellula se ne formano due ogni 20-30 minuti) hanno la caratteristica di formare colonie che, avendo la parete cellulare “appiccicosa”, si addensano in ammassi gelatinosi conosciuti come “la madre dell’aceto”.
E’ chiaro che la loro attività è condizionata dalla temperatura ma soprattutto dalla presenza dell’ossigeno mentre l’alcol elevato deprime la loro attività metabolica.
Chi avvia il fenomeno, in genere, è il Micoderma vini quello che viene chiamato “fioretta” e che forma un velo grigiastro sulla superficie che poi si sfrangia in fiocchetti che stanno a mezz'acqua prima di andare lentamente a fondo dove ... si infradiciano. La sua comparsa da evitare perchè, quando si forma, è indice di bassa alcolicità del vino quindi si dovrebbe buttar via perché poco alcol significa poco acido acetico.
Il suo “lavoro” consiste, comunque, nel trasformare l’alcol in acqua e anidride carbonica
CH3-CH2OH + 3O2 à 2CO2 + 3 H2O
abbassando il grado alcolico quindi creando un ambiente più favorevole ai batteri dell’aceto che “lavorano” fino a stabilire un equilibrio fra l’acido acetico neoformato e l’alcol etilico residuo in quanto l’uno e l’altro sono entrambi tossici per i microrganismi.
Produrre l’aceto basta mettere il vino in un recipiente tipo una damigianetta a bocca larga, una botticella, ecc., purchè sia ampio il contatto con l’aria quindi, l’una o l’altra, riempirli sino a circa metà sistemando come chiusura una garza, un tulle, uno straccio a maglia molto larga, ecc. ma comunque evitando tappi che chiudano ermeticamente.
Spillando l’aceto è opportuno rimpiazzare, con altro vino, quanto si toglie.
E' molto meglio operare nel contenitore grande, ringiovanendo ogni tanto la madre, e spillare di volta in volta quanto serve.
Fondamentale, ogni tanto, (diciamo almeno una volta l’anno) travasare tutto, recuperare l’ammasso gelatinoso, la madre, lavarlo sotto un filo d’acqua finchè non lo si vede pulito senza scorie attaccate, prenderne una parte e riporla nel contenitore che, nel frattempo, è stato lavato e pulito sempre e solo con acqua per poi rimettere l’aceto tolta e rimboccare di vino.
Conservare l’aceto nelle bottiglie non è una operazione corretta.
Nell'aceto in bottiglie chiuse a tappo ermetico è facile inizino fermentazioni anaerobiche che inducono alla putrefazione delle cellule batteriche morte con la produzione di sgradevoli odori di fradicio.
Ricordare che per fare un’aceto ottimo bisogna partire da un vino ottimo! rimpiazzare quanto si spilla dall’acetiera sempre e solo col vino buono, quale quello che rimane nelle bottiglia alla fine di una buona cena.
L’aceto industriale, quello dei supermarket, viene pastorizzato per evitare intorbidamenti e putrefazioni per cui si ha a che fare con un prodotto “morto” a differenza di quello “domestico” dove il lavoro dei batteri continua producendo odori e sapori secondari (acetati, eteri, esteri, aldeidi, ecc.) che rendono quest'aceto nettamente migliore anche per una quantità di ac. acetico superiore alla minima richiesta dalla legge (5% di ac. acetico, in quella indrustriale).
Premessa:
“L’aceto nasce dalla fermentazione (in realtà è una ossidazione) operata da alcuni microrganismi fra cui Acetobacter aceti, A. pasteurianus, A. suboxidans, Bacterium xilinum e altri, che ossidano l’alcol etilico trasformandolo in acido acetico passando per acetaldeide.”
E’ chiaro che i microrganismi non guardano da dove viene l’alcol etilico perchè a loro va bene qualunque origine.
Nessuno vieta, quindi, che si prenda alcol da distillazione, quello che si chiama “Buon Gusto”, in genere a 95 gradi, sia di 1^ categoria (da melassa di barbabietola, di canna, di cereali o patate) che di 2^ categoria (da vino, vinacce, fecce, frutti (mele, pere, fichi, prugne, ecc.) che ovviamente deve essere diluito in acqua portandolo a circa 10-11 gradi, e aggiungere una coltura di microrganismi, un po’ di zucchero e sostanze azotate (in genere fosfato di ammonio) necessari a stimolare l’attività dei batteri.
Così nasce un “aceto di alcol”
Ovviamente nel prodotto ottenuto viene a meno la quasi totalità del bouquet che si deve sia alle sostanze nella materia prima tradizionale (vino, sidro e altro) sia quelle trasformate dalle reazioni secondarie parallele alla ossidazione principale. Ne deriva un aceto che sa solo di acido acetico.
Ora, a parte la curiosità di conoscere questo prodotto tipico di culture in cui mancano le materie prime tradizionali, non vedo la necessità di ricorrerci e rinunciare a un buon aceto nato magari da un vino ottimo. In Italia, sia gli aceti di produzione “domestica” – “forti”, agri e di ampio bouquet - sia quelli “industriali” sono quasi tutti buoni.
Ovviamente la legge vieta l’uso alimentare di pseudo-aceti costruiti dalla diluizione di acido acetico di sintesi chimica e quello derivante dalla ossidazione di alcol etilico di origine non fermentativa.
Curiosità:
Una delle bevande più dissetanti – provate per credere – è un bicchiere di acqua fresca con qualche goccia di aceto. E’, o meglio era, la bevanda dell’estate quando si lavorava in campagna.
E’ la stessa quella del povero Gesù Cristo in croce al quale –contrariamente a quanto si crede pensando ad un ulteriore tormento- un’anima buona e con l’uso di una canna, gli bagna le labbra con una spugna imbevuta di acqua e aceto, amaricata con il fiele che, dove l’avesse trovato non saprei!