Vi pubblico un capitolo di un libro interessante appena uscito, di cui qui sotto trovate i particolari.
Io ho provato la ricetta MA usando il lievito di birra, dato che non avevo ancora la pasta madre, sulla quale sto sperimentando in questi giorni. Il risultato era stato comunque meraviglioso, molto molto morbido e profumato: in realta avevo usato l'uvetta al posto del cioccolato. Il solo problema e' stato che il giorno dopo, penso a causa del lievito di birra, i panini erano gia molto meno morbidi. Immagino che con la pasta madre si manterranno molto piu a lungo.
Il capitolo e' open source e pubblicato online in formato pdf all'indirizzo
http://www.wumingfoundation.com/italian ... Ming_2.pdf -
quindi non credo ci siano problemi a pubblicarlo qui, per comodita, senza doverlo scaricare.
Wu Ming 2 -PanGoccioli Open Source -2008 Pan Goccioli Open Source di Wu Ming 2
Racconto tratto dal libro Ricette anarchiche, a cura di Rino De Michele e altri, La Fiaccola, Ragusa, 2008 A giudicare dalle richieste d’aiuto che rimbalzano in Rete, da un forum gastronomico all’altro, molte mamme italiane hanno un’ossessione: rifare i Pan Goccioli del Mulino Bianco. Dico “mamme” perché nel caso in questione la stragrande maggioranza dei messaggi viene da donne con figli, ma vorrei evitare, se possibile, di farne una questione di genere e di ruoli. Come padre dedito ai fornelli, sono convinto che molte donne possano amare la cucina (e altre attività tradizionalmente femminili) senza che questo dimostri per forza la loro dipendenza da un modello culturale reazionario e bigotto. Certo ci saranno quelle che passano il pomeriggio a preparare torte perché convinte che una buona
madre, invece di lavorare o farsi i cazzi suoi, deve rimpinzare i figli di merende sane e condite d’amore. Sono sicuro però che ce ne sono tante altre che, come me, si ritagliano a fatica il tempo libero per cucinare e vogliono rifare i Pan Goccioli
in ossequio a uno spirito anarchico e libertario: riprendersi un desiderio trasformato in merce.
Divertirsi, risparmiare, inquinare meno. Aumentare il benessere, invece del prodotto interno lordo.
Riappropriarsi di una ricetta, cioè di un bene comune, camuffato da brevetto industriale.
Conoscere il nome, la storia e gli ingredienti di quel che abbiamo intorno.
Perché la magia si realizzi, i Pan Goccioli anarchici non devono soltanto “somigliare” a quelli Barilla, è necessario che siano almeno altrettanto desiderabili, al punto che un bambino, palato dell’innocenza, preferisca far colazione con il
prodotto fatto in casa e lasci nella credenza quello industriale. Ottenere questo glorioso riscatto non è affatto
semplice. Bisogna cercare le ricette adatte, metterle alla prova, confrontarle, elaborarne di nuove. Sulle
confezioni dei biscotti Barilla si trovano spesso le indicazioni per cucinarseli da sé, ma guarda caso, i morbidissimi Pan Goccioli ne sono sprovvisti. Che fare? Dai ricordi d’infanzia pesco la parola “maritozzi”. Nella mia città, Bologna, nessuno usa quel nome e quelli che mangiavo da bambino non erano affatto i maritozzi che si sfornano a Roma. Mia madre
però viene dall’Italia Centrale, tende a chiamare le cose come pare a lei e da piccolo mi comprava spesso questi panini soffici, gialli, con dentro le uvette. Li acquistava nel panificio delle Sorelle Simili, vera istituzione cittadina, come terza via tra la merendina industriale e la pasticceria casalinga, che non ha mai praticato volentieri. Una delle caratteristiche principali dei Pan Goccioli è che sono morbidi come piumini d’oca. Nella mia esperienza con pane e pasticci, ho
imparato che se vuoi una pasta soffice, profumata e duratura, devi usare il lievito naturale. Quello chimico in polvere, va bene per le ciambelle da
stampo. Quello di birra ha un odore troppo forte, la roba si secca dopo un giorno e l’impasto cresce troppo in fretta. Entrambi però si trovano al supermercato, mentre il lievito naturale, la madre acida,bisogna procurarselo in altro modo, come la marijuana. La via più semplice per ottenerlo è farselo spacciare da qualcuno che già lo possiede (ad
esempio, un panettiere gentile). Altrimenti bisogna tentare il mistero dell’autoproduzione. Si tratta di far fermentare per un paio di giorni un impasto di acqua e farina, grazie all’aggiunta di olio e miele, oppure polpa di banana matura, o ancora l’acqua di macerazione di un pugno d’uva sultanina. So che qualcuno affronta questa fase alchemica mettendo
la pasta a riposare in una tazza scoperta, ai piedi di un albero, nel punto più ricco di muschio, licheni e colonie di funghi. Il suggerimento è pittoresco ma non necessario e c’è sempre il rischio che un cane
di passaggio scambi il tuo lievito per il suo cesso. Passate quarantott’ore, se l’impasto “cresce” bisogna trasferirlo in frigorifero e ogni 4 /5 giorni “rinfrescarlo”, cioè dargli da mangiare tanta farina quanto pesa, più metà acqua e un pizzico di
zucchero. E’ un po’ come avere un cucciolo di animale domestico: il mio è con me da tre anni, anche se un filosofo potrebbe contestare che si tratti sempre dello stesso lievito (così come la famosa nave di Teseo, dopo che gli ateniesi ne
rimpiazzarono tutti i pezzi, anno dopo anno, allo scopo di conservarla: era o non era la stessa nave?)
Tornando ai Pan Goccioli, chiedo a Mister Google di cercare riceta+ maritozzi+ lievitonaturale.
Tra i primi responsi dell’oracolo spicca una ricetta presa da “La cucina romana” di Ada Boni, autrice
di un sacro testo come “Il Talismano della Felicità”. La provo, un po’ a disagio per i quantitativi “a cucchiai” e non a grammi e per i molti passaggi spiegati in maniera spiccia. Mi ricorda le ricette di mia nonna, dove tutto era “a occhio”, “vedi tu”,
“quanto basta”. La bilancia invece dà sicurezza e soprattutto, in fase sperimentale, consente di escludere errori nel dosaggio. Il risultato non supera il test: più duro dei Pan Goccioli, con una consistenza diversa, e i pupi, che
dopo avermi lodato a parole come “bravo fornaio”, mi tradiscono subito con la progenie del nemico.
Al secondo tentativo, incrocio la ricetta della Boni con alcuni elementi presi dal panettone delle sorelle Simili -già provato con successo -e da una ricetta con lievito di birra trovata in Rete. Latte invece di acqua, tuorlo semplice invece di uovo
intero, lievitazione più lunga, formato “a pallina”, forno più basso. Il risultato migliora, ma nemmeno questa volta
supera il test. Non è abbastanza soffice, non è abbastanza dolce, la glassa di zucchero appiccica le dita.
Al terzo tentativo sottopongo il lievito madre a un allenamento da panettone (non proprio, in realtà:per fare il panettone si passano due giorni soltantoa preparare il lievito).
Tradotto in ricettese:
Lievito atletico
25 grammi di lievito naturale
25 grammi di farina Manitoba
10 grammi di acqua
un pizzico di zucchero
Impasto gli ingredienti. Aggiungo una goccia d’acqua per raccogliere la farina residua. Faccio una palla e la metto in un vasetto di vetro col tappo a vite, non più grande del triplo della palla. Lo scopo è far fare i muscoli al lievito opponendo resistenza alla sua voglia di gonfiarsi. Lascio il vasetto in un luogo fresco per 12/14 ore. In casa mia, l’ambiente ideale è l’ingresso, non riscaldato, visto che la porta è tutta uno spiffero e accendere il termosifone sarebbe uno spreco. La
temperatura dovrebbe stare comunque sotto i 18 gradi. In estate si possono ridurre i tempi di allenamento. L’obiettivo è che la palla triplichi il suo volume, spesso insinuandosi fuori dal tappo, in piccole colate laviche. Terminata la preparazione atletica, si può procedere al primo impasto. Decido di sostituire la farina doppio zero con farina Manitoba, perché
produce più glutine, e il glutine forma una rete che avvolge l’impasto e trattiene meglio i gas della
lievitazione. Si trova nei supermercati più forniti, nei negozi di granaglie (dove costa come la
cocaina) oppure on-line, con grande risparmio (
http://www.tibiona.it/shop/). Infine, aggiungo anche una punta di malto d’orzo
solubile (facoltativo, ma nutre i lieviti molto meglio dello zucchero).
Dunque:
Primo Impasto
lievito madre atletico
120 gr di farina Manitoba
1 tuorlo d’uovo
50 cl di latte tiepido
(1 punta di cucchiaio di malto)
1 cucchiaio colmo di zucchero
1 cucchiaio di olio
Con la farina preparo la fontana(si dice così, ma in realtà somiglia più a un vulcano). Metto nel cratere tuorlo, latte, olio e li sbatto insieme. Aggiungo zucchero e malto. Mescolo il magma con la forchetta e ci tuffo il lievito a lapilli. Lo sciolgo un
po’ con le dita e incorporo pian piano tutta la farina. Batto l’impasto finché non si stacca dalle dita e dalla ciotola. Questa è una delle fasi più complesse da descrivere e da fare. La mia prima colomba venne uno schifo proprio a causa della fretta in
questo procedimento. In pratica, si afferra il composto con le dita e lo si molleggia, su e giù, finché il braccio non rischia di uscire dalla spalla. Ci si riposa un attimo e si riprende. Le prime volte, sembra impossibile che le dita, prima o poi, saranno libere dalla pasta. Uno pensa che resterà appiccicato per sempre, se non aggiunge farina. Errore. Bisogna aver pazienza e perseverare. Per questo motivo, si tratta di una fase non adatta ai più piccini, che si stancano dell’appiccicume dopo
circa trenta secondi. Quando la colla comincia a staccarsi dalle pareti della ciotola è meglio trasferirla sul tavolo, o sulla spianatoia, e continuare lì il trattamento, fino ad ottenere una palla, liscia e maneggiabile. Dovrà lievitare 3 ore, coperta, in una ciotola appena unta, dentro il forno spento, in compagnia di una tazza d’acqua bollente (in estate non è necessaria, fa già abbastanza caldo, almeno dalle mie parti). Nel frattempo, metto in freezer 50 gr di gocce o pezzettini di cioccolato fondente, la cui mancanza, a vantaggio delle uvette, è senz’altro una delle ragioni dei precedenti insuccessi.
Già che ci sono, tiro fuori un uovo dal frigo.
Trascorse le tre ore, procedo al secondo impasto:;
Secondo impasto
100 gr farina Manitoba
130 gr farina 00
1 uovo intero a temperatura ambiente
50 gr latte tiepido
1 presa di sale
1 cucchiaino di miele d’acacia
3 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di olio
(vanilina)
Vulcanizzo la farina. Colo nel cratere latte, uova, olio e li sbatto insieme. Aggiungo zucchero, miele, sale, vanilina e fondo il tutto. Intrudo nel magma il primo impasto, a brandelli. Incorporo la farina. Batto come prima, passo sul tavolo e proseguo
menando (che nel lessico di mia nonna significa massaggiare l’impasto con la porzione del palmo più vicina al polso).
Verso nella ciotola le gocce di cioccolato, poche alla volta, e le incorporo nella pasta premendocela sopra. “Meno” con delicatezza per distribuirle in modo uniforme. Formo un piccolo filone tozzo e ne strappo pezzetti da 50 gr., circa una dozzina in tutto. Il primo lo peso sulla bilancia, con gli altri vado a occhio. Uno dei difetti delle versioni precedenti erano proprio le
dimensioni, troppo grandi, con tendenza a “sedersi” in fase di lievitazione. Così ho spiato il nemico: i Pan Goccioli pesano 48 grammi l’uno. Faccio delle palline tese, altra tecnica difficile da spiegare, che consiste nell’accarezzarle in
superficie con le dita, dal centro verso la base, e rimboccare la pasta sotto i bordi, come se fosse un lenzuolo sopra una cupola. In alternativa si può usare una teglia da mufin, con palline da 40 grammi in ogni pirottino, unto e infarinato a
dovere. Lascio lievitare 6 ore, coperti con pellicola, nel solito forno spento con dentro la tazza di acqua
bollente. Infine, la cottura. Argomento difficile, perché il forno è un essere vivente, e non ce ne sono due che
si comportino allo stesso modo. Tendiamo a dimenticare che dietro termostati, timer, grill e ventole si agita pur sempre il fuoco, il più instabile degli elementi naturali. Non conosco i forni elettrici, che sono forse più disciplinati, ma immagino che anche quelli vadano conosciuti e usati con cure personali. Sia come sia, scaldo il forno a 180° e cuocio i Pan Goccioli per circa 20 minuti, nei ripiani alti, con una pentola d’acqua sul fondo. Attenzione a non tenerli troppo perché la crosta è nemica della morbidezza e può rovinare il risultato. Se si vuole essere certi di passare il test, si possono organizzare i tempi come segue.
Ore 7: preparazione atletica del lievito naturale
Ore 20: Primo Impasto
Ore 23: Secondo Impasto
L’indomani:
Ore 7: Infornare
Ore 7.20: svegliare i pupi
Ore 7.30: Colazione con Pan Goccioli Open
Source ancora caldi.
Se resta qualcosa, appena è tiepido, lo si deve chiudere in sacchettini di plastica. Grazie al lievito naturale, si mantengono bene anche una settimana (ma è sempre meglio farli rinvenire in forno per qualche minuto, prima di divorarli). Per periodi più lunghi, è meglio conservarli nel congelatore.
ne assaggio solo un pezzettino..