da ettore » 30 apr 2012, 10:36
Ragioniamo un attimo perché talvolta basta buttare un’esca con una frottola e, tanto più è grossa e tanto più è fantasiosa, basta poi agitarle con una subdola quanto intelligente (e spesso apparentemente, ma solo apparentemente, vera) che il gioco (leggi businnes) è fatto.
Per completare, si condisce il tutto con un alone di unicità, si rende difficile il reperimento, lo si arricchisce con la esclusività, si alzano i prezzi e … voila.
Intanto quello che i più chiamano “grano” si dovrebbe invece chiamare “frumento”. Comunque, la pianta della vasta famiglia delle “Graminacee”, appartiene all’altrettantro vasto genere botanico Triticum.
Ne vuoi alcune specie ? Eccole, in ordine alfabetico, prese da un trattato di botanica e che forse non sono tutte quelle esistenti dato che, sono sicuro, ce ne sono ancora da … scoprire.
Triticum aestivum, T. aethiopicum, T. araraticum, T. boeoticum, T. carthlicum, T. compactum, T. dicoccoides, T. dicoccum, T. durum, T. ispahanicum, T. karamyschevii, T. macha, T. militinae, T. monococcum, T. polonicum, T. spelta, T. sphaerococcum, T. timopheevii, T. turanicum, T. turgidum, T. urartu, T. vavilovii, T. zhukovskyi, ….
Accando a questi, e fra questi, c’è chi propone di inserire il genere Aegilops per indicare i Triticum minori e certe sottospecie. Ma tant’è,
Le loro cariossidi – mangiate intere tal quali - sono state la base alimentare rappresentado un prodotto serbevole che così assicurava cibo quando la roba fresca (frutti, verdura, ecc.) non era disponibile. Facili da coltivare, si deve a queste piante l’aver trasformato gli antichi uomini da nomadi “raccoglitori-cacciatori”, in stanziali “agricoltori-allevatori” cosa da far risalire, nell’Eurasia, fra i 15 e 20.000 anni anche se le documentazioni sicure di coltivazioni dei cereali sono di circa 5-7.000 anni, zona odierno Iraq.
La invenzione degli sfarinati, e del loro uso, è molto posteriore e da quelle farine si deve la “scoperta” della birra (si fa per dire). Rimaste alcune cariossidi in una ciotola con l’acqua, si trasformava in un liquido leggermente alcolico sopranatante su una pappina buona da mangiare.
Gli Egizi, ai quali si deve la scoperta, venivano presi in giro dai popoli vicini dicendo che “bevevano pane e mangiavano birra”.
Come sai mi lascio sempre andare troppo.
Non è esatto che le cariossidi perdono germinabilità dopo qualche anno come c’è nel sito da te linkato. La germinabilità di questi semi, conservati in ambienti con umidità inferiore al 10-12% mantengono il carattere di germinare per tempi indeterminabili.
Torniamo al frumento.
Il genere Triticum comprende 6 specie che sono state classificate in base al grado di ploidia (numero di cromosomi del loro genoma) che vengono ordinate come due specie “diploidi” (con 14 cromosomi), due “tetraploidi” (con 28 cromosomi) e due “esaploidi” (con 42 cromosomi).
Diploidi sono:
Il più antico è il T. spelta - ancora raramente coltivato ma solo come foraggio. E quello rinvenuto nelle tombe dei Faraoni circa 4000 anni fa, probabilmente coltivato nell’Antico Egitto. Un ibrido fra questo, la segale (Secale cereale) e il T.aestivum ha dato orgine al triticale, (un “ottaploide” di recente costituzione, con 56 cromosomi) usato da foraggio.
Quelli di interesse sono:
- Il Triticum monococcum con due sottospecie:
T. monococcum aegilopoides, un frumento selvatico;
T. monococcum monococcum, coltivato, commercializzato con il nome di “piccolo farro”;
- Il T. urartu non coltivato ma solo selvatico con qualche problema (roba da genetisti !) perché pur molto simili fra loro e fecondati fra loro (ibridazione) danno cariossidi non fertili; un po’ come i muli o i bardotti, incroci fra cavalli e asini.
Tetrapolidi sono:
- Il T. turgidum è quello che conosciamo come grano duro; oggi è noto che sia “nato”, in illo tempore, quale ibrido dalla fecondazione estemporanea e naturale fra gli ovuli della Aegilops speltoides e i pollini del T. urartu. Sta di fatto che ha dato vita a diverse sottospecie, alcune di nessun significato, altre invece di interesse quali il T. turgidum dicoccum, il farro, dal quale, nel tempo, è stato selezionato il T. turgidum durum, il grano duro.
- Il T. timopheevii é molto simile al T. turgidum ma è recente ibrido fra l’Aegilops speltoides e il T. urartu. Il seme della fecondazione fra T. turgidum e T. timopheevii è sterile pertanto devono essere considerate specie differenti.
Sono note due sottospecie: il T. timopheevii timopheevii e il T. timopheevii armeniacum, un frumento selvatico coltivato nel Caucaso.
Fra questi c’è il T. turgidum turanicum – decritto per la prima volta verso il 1920 – ed è noto nell’area dell’Iran come khorasan.
Esaploidi sono:
- Il T. aestivum, ibrido fra il T. turgidum e, l’Aegilops tauschii che ha dato origine al grano tenero;
- Il T. zhukovskyi ibrido fra T. timopheevii timopheevii e il T. monococcum, di scarsa importanza coltivato nel Caucaso.
Finalmente, dopo questa complessa rassegna, eccoci al kamut, coltivato anche in Egitto dove lo conoscono come “balady durum” cioè “ frumento duro, nativo” dove, con qualche dubbio, pare sia stato introdotto in seguito alle intrusioni degli eserciti dei Greci o dei Romani antichi o, più probabilmente, molto più tardi, dall’Impero bizantino. In Turchia, che ne faceva parte e dove ancora si coltiva, in alcune aree viene chiamato “dente di cammello” in altre, invece, “grano del profeta” riferendosi a Noè che, per sicurezza, fra tutti gli animali imbarcati sull’arca, si dice avesse anche la semente di questo frumento.
Da sempre, col nome di “saragolla”, risulta coltivato in piccole superfici della Basilicata, nel Sannio e in Abruzzo.
Verso gli anni ‘950, 30 anni dopo la “scoperta” che risale agli anni ‘20, una manciata di cariossidi del khorasan venne mandata da un soldato americano al padre, agricoltore nel Montana. Incuriosito dalle dimensioni delle cariossidi, più o meno tre volte più grandi di quelli del grano duro, quell’agricoltore lo moltiplica in campo sperando di conseguire un certo successo che in realtà non seppe sfruttare. L’opportunità è stata colta da un altro statunitense, un certo Bob Quinn che, nel 1990, si appropria della paternità registrando la cultivar con la sigla QK77 e, furbescamente, mette in vendita le cariossidi come “grano dei faraoni” e chiama gli sfarinati Kamut.il cui significato, non so in quale lingua, sostiene significasse “spirito/anima della terra”. Sulla sua “creatura” costruisce storie, leggende, racconti fantasiosi e quant’altro contribuisce ad ammantarla e soprattutto … trasformarla in dollari. Fa leva sulla novità, sull’affascinente origine che fa colpo fra gente disposta a bere qualunque storia sia raccontata dalla pubblicità soprattutto se diffusa via TV.
Vediamolo in pratica.
Le cariossidi del kamut (e gli sfarinati) contengono circa il 10% d’acqua, 15-17% sono le proteine più o meno quante nel frumento duro, mentre il 70% è rappresentato dai carboidrati, in pratica l’amido; il resto, 2-3%, sono fibre e i pochi lipidi presenti nell’embrione.
I minerali presenti sono quelli tipici dei cereali: calcio, magnesio, potassio, sodio, fosforo e via via ferro, rame, zinco ecc.
Ovviamente viene “pompata”, perché “… importante per la nutrizione umana”, la presenza del selenio “… oligoelemento necessario per il metabolismo cellulare, capace di ridurre la formazione di radicali liberi corollari di cardiopatie e diversi tipi di cancro”.
Tutto vero, per carità ma su un kg di sfarinato di kamut - udite udite - se ne trovano circa 900 microgrammi, cioè 900 milionesimi di grammo! Credo che per aver qualche risultato si debbano ingerire 50-60 kg di pasta da kamut al giorno, come servono 60-70 kg di patate “selenella”.
Non mancano alcune vitamine, soprattutto del gruppo B (tiamina, riboflavina, vitamina B6) e la vitamina E, concentrata nell’embrione; mancano come negli altri la C e la D.
A costituire le proteine sono gli stessi amminoacidi degli altri cereali nei quali, ad abbassare il valore nutrizionale, sono la carenza della lisina e della metionina, amminoacidi necessari per l’uomo quindi “essenziali” perché non è capace di sintetizzarli, e il rapporto Calcio/Fosforo opposto a quello necessario per una alimentazione sana. L’una e l’altra cosa deprimono il valore nutrizionale dei cereali che, per questo motivo, si devono integrare con i legumi (che contengono lisina e metionina) e i derivati del latte dove il rapporto fra Calcio e Fosforo sono l’esatto opposto.
A spanne, come tutti gli altri cereali, 100 grammi di kamut (o gli sfarinati) equivalgono a circa 335 Kcalorie.
Fra le proteine localizzate nell’endosperma, ricche di cisteina, prolina e ac. glutammico, sulle altre, ci sono le prolammine e le gluteline rappresentate dalle gliadine: e dalle glutenine che, a contatto con acqua e per energica azione d’impastamento, formano il glutine, una lipoproteina che dà viscosità, elasticità e coesione all’impasto.
Gli sfarinati si prestano a preparare paste alimentari, prodotti da forno, preparazione tipo pilaf per insalate o minestre.
Chi racconta che il kamut è adatto ai celiaci è un criminale.
Il kamut, quindi, vale nè più né meno di una semola da frumento duro.
Il resto è fantasia.
ettore