Raccolta di tutti gli scritti di Blu52

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Messaggioda panini e focacce » 30 giu 2007, 7:14

Sab Giu 30, 2007
...talk- show...

(suona il telefono, una pausa e poi riprende: mio fratello è specialista nello scaricarmi telefonate "rognose").
- io (voce bassa, circospetta): pronto?
- pronto? E' il titolare? (voce squillante, un filino autorevole come insegnano nelle varie "missions")
- n-no
- un socio?
- neanche
- dipendente?
- neppure
- (approfitto della pausa sconcertata): sono un operaio
- allora perchè?
- perchè ho risposto dice? Me l'ha chiesto il Signor Bruno, lui è uscito un attimo per prendere il cane
- peccato, volevo sottoporgli un'offerta di Tum
- non credo possa interessargli, sa?
- e lei come fa a saperlo?
- sono anche suo amico d'infanzia
- ma usa il cellulare?
- bè si e no...
- (?)
- nel senso che a volte la gente si arrabbia un pò con lui
- (??)
- lo apre e lo dimentica in cassetto oppure...
- oppure?
- oppure lo porta con sè ma lo dimentica chiuso
- ah, capisco (non fino in fondo, però...)
- tornerà presto?
- dipende, il piazzale è un ettaro e poi ci sono 500 metri di prato e...
- e?
- i boschi dove si è rifugiato Bikotto...
- boschi, Bikotto? (lo sconcerto aumenta anche se è intrigata dalla piega demenzial-chic che ha preso il discorso)
- è il nome del cane, figlio di Biki e nipote di...bè al momento mi sfugge
- allora lasciamo stare (torna il piglio manageriale)
- magari torna anche subito, a proposito scusi se non mi sono presentato. Io mi chiamo Gedeone ma può chiamarmi Gede come mia moglie
- (esitante): piacere Signor Gedeone, il mio nome è Tessa
- Tessa? E' un nome americano e forse c'è stato un film di Roman Polanski?
- Bè, non saprei ma ha molti interessi per ...
- un operaio dice? Ma non dica povero: noi abbiamo la ricchezza della semplicità, della sobrietà forzata dalla nostra minima di pensione...non è facile sa?
- bè, credo ma anche la nostra categoria non è coperta d'oro...
- vedi cara Tessa, dalla voce sento che sei giovanissima e potresti essere mia nipote...
- ho 28 anni! (un pò piccata)
- allora figlia ma il fatto è...

(questo sproloquio mi è venuto spontaneo immprovvisandolo giovedì mattina: ero esasperato da queste offerte che considero una vera e propria molestia telefonica e inoltre non mi funzionava una linea del telefono fisso per il LAN fax, dopo che avevo annullato il gestore del governatore sardo che si era intromesso con uno stratagemma quantomeno discutibile. Ma poi ho riflettuto: siamo entrambi dei poveracci che subiamo questa società tecnologica e senza cuore. Perchè non usare qualche raggio di sole per illuminare le nostre grigie giornate. Non so se Tessa è pagata a contatti o tempo: nel secondo caso è fortunata perchè il nostro piccolo show telefonico alla Fiorello è durato più di venti minuti)

Blu52
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Messaggioda panini e focacce » 2 lug 2007, 7:24

Lun Lug 02, 2007
...amarcord...

La regina stamattina ha la testa fasciata: le nubi nascondono la cima. E pure qualche linea di febbre: anche lassù, oltre i tremila, lo zero altimetrico è lontano.
La neve fresca , caduta abbondante di recente, nasconde le ferite inferte dai gatti della neve sul ghiaccio vivo durante gli ultimi lavori di rinnovo della funivia: ma mentre le due Province si disputavano il suo possesso, l’”oro bianco” è calato di un terzo.
Scendiamo e Jola guarda stupita uno stambecco immobile su una cengia che dà sullo strapiombo: ma quello è il suo regno naturale.
Le mucche pascolano tranquille sui prati della piana di Malga Ciapela: ma chissà fino a quando potranno farlo. Per la Marmolada sono previste altre colate di cemento.
Con un cenno del capo saluto Orsola alla cassa: è lì da tempo immemorabile. I serrai di Sottoguda sarebbero da contemplare camminando in silenzio. Ma hanno messo un trenino: per la gioia dei piccoli o la pigrizia dei grandi?
La Signora Adelina è occupata in cucina, in attesa del cuoco che deve arrivare a giorni. Anche noi facciamo onore al suo lavoro: la carne di capriolo , contornata da funghi e polenta, è morbida e gustosa.
Mi saluta con piacere: quando c’è affinità di spirito e di animo, i trent’anni passati sembrano annullati in breve da chiacchiere, ricordi , sorrisi, carezze e strette di mano.
Alleghe era venuta tristemente alla ribalta per “i misteri del lago” di Saviane. Agordo è la sede della multinazionale degli occhiali di Leonardo Del Vecchio: in queste zonè è ormai diventato una leggenda vivente.
L’Agordino ci saluta: le grandi cime lasciano il posto alle prealpi bellunesi.
Nostalgia, un velo di tristezza, affetto e ricordi: “amarcord”…

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Messaggioda panini e focacce » 3 lug 2007, 7:05

Mar Lug 03, 2007
...sul filo dei secoli...

Stanfords: il mito è al di là della strada. Il negozio più antico (1852) e più fornito di carte geografiche, mappe militari e marittime del mondo. Rompo gli indugi e, nonostante gli sbuffi di Jola, entro al galoppo.
I pavimenti dei tre piani sono ricoperti delle carte geografiche di tutto il mondo: per vedere dove si rifugia spesso un titolare di un ristorante di pesce di Castelfranco Veneto finisco quasi con la testa contro il muro: eh si, le Isole Figi non sono proprio dietro l’angolo.
L’ho portata con me, anche se non era consigliabile: ma “Clementine” è così bella, cara che non ho potuto farne a meno. Prendo qualche appunto tramite lei: ha un colore unico, dorata, ben bilanciata e lo scritto scorre fluido. Prima l’ho sistemata bene: gonna, sottogonna, corpetto.
Come dite, no, no: “honny soit…”. Lei è una portamatite che risale ai primi del secolo scorso: l’ho presa il novembre passato da un negozio di antichità che stava chiudendo a un prezzo interessante (seppur, ahimè, non proprio basso). Ha un suo “glamour”: dorata, dal profilo a cinque lati, ogni giorno posso far scorrere delle ghiere e scegliere il giorno e la data.
Colpo di tosse discreto: mi giro e incontro lo sguardo di un inglese di mezza età. Il profilo è inconfondibile: collo grosso e uniforme, testa a forma di goccia rovesciata e allungata o, se preferite, il gambo di un finocchio rovesciato. Perché tanta acredine in questa descrizione? Lo scoprirete fra poco.
Mi chiede di esaminare “Clementine”: acconsento con riluttanza a lasciarla in mani estranee. La soppesa, la scruta e poi scrive con una volgare e plebea penna a sfera un bigliettino che mi porge con un leggero inchino assieme alla portamatite. E’ scritto solamente: + 100.
Conoscete la definizione di “essere in un brodo di giuggiole”? Bè, io lo ero: chi ha detto (forse loro) che gli italiani hanno perso tutte le guerre? Sto vincendo la mia piccola battaglia: nel cuore della “Old England”, in uno dei quartieri più belli e caratteristici, nel mitico “Stanfords”.
Ringrazio sprofondandomi in un inchino fino a terra e facendo ricorso a tutte le mie (in verità, molto scarse) conoscenze della loro lingua.
Nuvole nere foriere di pioggia: sta alzando il dito indice della mano destra, proprio come la mia vecchia insegnante di stenografia quando doveva comunicarmi cose spiacevoli e cioè che i simboli che scrivevo erano geroglifici senza alcun senso compiuto.
Tira fuori il suo portamatite: platinato, istoriato etc. etc. con un’aura di antico che emanava dal profondo. Solito foglietto scritto dalla penna del barone della nazione a loro nemica da sempre ma stavolta cambiava la cifra: + 150, più o meno l'età del locale che ci ospitava.
Annientato gli stringo la mano, con uno sforzo sovrumano mi produco in un sorriso stirato e artificiale come alcuni dell’ormai ex loro premier: accomiatandomi, gli auguro mentalmente qualche disturbo corporale imbarazzante visto che in quegli ambienti non sono neanche convenientemente attrezzati.
Il veleno, come quello dello scorpione, è sempre nella coda: spalle curve, cuore a pezzi e strascicando i piedi mi avvio verso l’uscita…

Blu52
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Messaggioda panini e focacce » 4 lug 2007, 7:23

Mer Lug 04, 2007
...montagna "sara"...

Lunghe ore passate al sole, nel giardino di quella villetta. Un’altra vita, un altro mondo.
Ti riscuotevi solo quando suonavano al campanello: allora ti alzavi e correvi incontro all’intruso abbaiando.
Dicevano che eri cattivo; ma non era vero. Non eri sereno, ecco: i traumi li hanno anche gli animali e non solo gli uomini.
E il tuo era stato grande: in un giorno, un giorno solo avevi perso tutti i tuoi riferimenti: il tuo Dio che era il tuo padrone, i suoi cari, il gregge, il rifugio in montagna, la casa nella valle.
I tuoi comandamenti erano pochi e semplici, instillati in te dall’istinto di secoli della tua razza: devozione per il tuo padrone e i suoi cari, cura del gregge, difesa contro i suoi predatori naturali che sono l’orso e il lupo.
Le tue giornali scorrevano veloci e piene di soddisfazioni: la sveglia all’alba, il lavoro di custodia, le lunghe ore di veglia vicino al fuoco col pastore, le poche di riposo ma sempre con i sensi all’erta.
Il pastore apprezzava il tuo lavoro, a lui indispensabile e sentivi anche il calore della sua famiglia: la moglie, i bambini.
Tutto scorreva come doveva essere, fino a che anche in quelle zone entrò il Male.
Così un giorno finì tutto: una pallottola in corpo ti diede un oblio misericordioso, mentre lottavi in quel lontano Eden diventato all’improvviso un inferno.
Le grida, le urla, gli scoppi delle granate e delle detonazioni cessarono: non vidi chi ti raccolse, ti fece operare, ti portò con sé nel lungo viaggio di ritorno.
Non vidi la colonna umanitaria che passava il confine, eri ancora sotto sedativo: lo stesso che alleviò in quei giorni terribili il dolore fisico di tante persone.
Ti risvegliasti debole, ancora intontito in un’altra cornice: tutto quello che conoscevi non esisteva più. Era sparito, cancellato.
Ti coccolavano, a volte non corrispondevi e ne erano feriti: non sapevano, non potevano sapere che il Pastore della Ciarplanina ha un carattere riservato, non dà confidenza, ama e amerà un solo padrone per tutta la vita, anche se rispetterà le altre persone e starà alle regole.
Anche il clima è cambiato: non c’è più quel freddo intenso che a volte passava anche il tuo pelo e ti penetrava nelle ossa, non senti più la tormenta, non vedi il nevischio che confondeva le pecore: adesso l’aria è dolce e profumata e a volte fissi a lungo una cerchia di montagne all’orizzonte, confuse nella foschia.
Non senti più il pericolo dei grandi predatori, questi non sono i loro luoghi, troppo abitati: del resto non sono neanche i tuoi.
Fissi ancora quella montagna lontana, dai contorni sfumati.
Sai che la tua non la rivedrai più: Shara Planina.
Montagna "sara"...


Per la Signora Luisa…di “Cà Takea” (casa degli attaccabrighe in dialetto veneto antico)


(...dalla vecchia cornucopia...)

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Messaggioda panini e focacce » 5 lug 2007, 6:31

Gio Lug 05, 2007
...il suono divino e il trillo del diavolo...

Uto Ughi ama il mare di un amore intenso, profondo, direi quasi viscerale: quando ha un po’ di tempo libero dai suoi numerosi impegni si ritira in costiere isolate dove percepisce il suo profondo respiro. Per i suoi concerti il famoso violinista usa uno dei più bei “Guarneri” esistenti al mondo: un “Guarneri del Gesù” del 1744 che sprigiona un suono che affascina sempre il pubblico.
Ma quando è solo in riva al mare, allora usa il suo adorato “Kreutzer”, uno Stradivari del 1701 appartenente al famoso violinista cui Beethoven dedicò la famosa “Sonata per violino e pianoforte”: la difficoltà di questo pezzo musicale è tale che lo stesso violinista non volle mai eseguirla in pubblico, atto di coraggio e umiltà assieme. Questa sonata contrappone i due strumenti in una sfida quasi epica, scatena le emozioni più sublimi e anche gli istinti più bassi tanto che il grande scrittore Lev Tolstoj ne era sempre profondamente emozionato fin nell’intimo; così le dedicò uno scritto intitolato “Krejcerova sonata”.
Il suono di uno “Stradivarius”: il suono di dio degli strumenti di Stradivari, il grande liutaio. Capiva il legno come pochi e nessuno raggiunse la sua arte eccelsa nel costruire i violini.
Il diavolo ai piedi del letto suggerì al compositore Tartini, avviato alla carriera ecclesiastica, quella famosa Sonata che poi egli pentagrammò: il Trillo del Diavolo.
Il violino è un grande mondo dove si intrecciano emozioni, arcane sensazioni e che porta l’umanità in spazi, tempi, dimensioni e atmosfere di ogni genere.
Chi suona il violino è baciato dal Signore: ma poi ci sono loro, i costruttori di strumenti musicali, i liutai. Il loro è un grande, benefico compito: senza la musica il mondo, le persone, i fiori, le donne sembravo rattristarsi, ritirarsi. La musica dà carica, sollievo, felicità.
In Luca Primon di Trento la scintilla scattò vedendo il nonno, falegname e ebanista, riparare i violini alla sera, stanco dopo il lavoro giornaliero. Gli anni degli studi a Parma, riparare i violini dei compagni per pagarsi lo studio, i primi inizi stentati in un piccolo appartamento di Via Suffragio , la commozione che affiora ancor oggi ricordando quando il suo maestro gli pagò la riparazione maggiorata dello strumento per aiutarlo.
E poi Milano: la città della Madonnina accoglie sempre chi ha voglia di fare, di creare. E Luca l’aveva: adesso è cercato da tutti, anche dai più lontani atolli. Creare un violino: scegliere legno in piedi in foreste leggendarie come quella di Paneveggio, stagionarlo, plasmare la forma e tante, tante altre cose.
Diciamo quattrocento ore per poi avere il piacere di sentire il suono divino di questo strumento.
Perché queste poche, scarne righe per lui?
E’ vero, lo riconosco di avergli lasciato poco spazio: ma, in fondo, la sua pagina di vita musicale è ancora aperta.
Ci sono giorni in cui vi sentite stanchi, frustati, sfiduciati, soli? In un mondo che sembra ormai diventato un immenso contenitore di spazzatura maleodorante, di traffico convulso, di rumori molesti e di immagini vuote e prive di alcun significato?
Venite con me, datemi la mano, a quest’ora gli scogli sono infidi: aspettiamo che le luci di quella villa si spengano ad una ad una e alla fine solo una finestra resterà accesa: quella di Uto.
Adesso esce, il vecchio legno centenario del “Kreutzer” sfida il salso: vicino ha le anime del vecchio compositore e di quel Titano che rinnovò la musica per sempre: Ludwig Van Beethoven. Più lontano, seduto su uno scoglio, anche un’altra grande personalità ascolta rapita la musica del suo violino preferito: Lev Tolstoj. La magia di questo strumento viene dal passato, fa gioire nel presente e già si proietta verso il futuro.
Il vento marino ci porta quel filo di musica, un frammento della Creazione. Non siamo più soli, non sentiamo più la tristezza o la stanchezza.
Non siamo più soli fino a che ci sarà una persona che costruisce i violini, non siamo più stanchi fino a che qualcuno suonerà. Non saremo mai più infelici fino a che sentiremo il violino suonare, lo porteremo nel nostro cuore e lasceremo crescere questa emozione nella nostra anima.
Buon ascolto…

(Per Francesca e per quella terra incantata che è il Passo Cereda e dintorni, per Luca e per Gianni, il mio "skipper" del cuore e per tutti quelli che amano la musica in generale e il violino in particolare)

(…dalla vecchia cornucopia…)

Blu52
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Messaggioda panini e focacce » 8 lug 2007, 7:47

Ven Lug 06, 2007
...il dono...

C’è qualcosa che profuma di nuovo in questa pasticceria: anzi d’antico.
E’ tornata la Signora Zita: me ne parlava, tempo fa, la persona che gestisce il bar vicino.
Accompagnando la notizia con un piccolo sorriso che avrebbe voluto essere di scherno o derisione, dall’alto della sua (relativa) giovinezza e altezza fisica.
Aggiungendo: “Alla sua età…”.
Sbagliava: per prima cosa non si può paragonare un bar ad un Caffè.
Questo locale appartiene ad un’altra epoca: dove non si grida ma si sussurra, non si ingurgita ma si degusta.
Il mondo della Signora Zita.
L’ultimo Caffè, degno di questo nome, sopravvive a sé stesso e si trova nella Città del Santo.
Uno scrittore molto noto sta scrivendo su un quotidiano delle note intitolate così: i nuovi barbari.
E fa l’esempio di tre mondi: il vino, il libro, il calcio.
Ma abbiamo quello che ci meritiamo, quello che vuole la maggioranza, ormai non più silenziosa: “i nani e le ballerine” citati da un ministro sono aumentati in maniera esponenziale, gli uni come le altre.
E, seconda cosa, ci sono varie età nelle persone: io qui mi rivolgo solo a quella del cuore, alla forza del cuore, alla nobiltà del cuore.
Quello che sta facendo Lei, con un filo di voce ma con la figura sempre dritta ed il suo eterno sorriso da Monna Lisa, gli occhi a cui non sfugge nessun particolare: i segnali divini.
Un’eredità che vale più di qualsiasi fabbricato, terreno, somma di denaro.
Parlo di quella merce che non si vende e non si compra: ma si dona.
L’esperienza.
Facciamo un rapido “excursus” nel passato, diciamo quasi mezzo secolo: ero ancora un ragazzino quando Dino, il mio vicino autista di corriera, mi parlava di questo Caffè, delle paste fresche fatte arrivare ogni mattina dalla Città del Ponte degli Alpini.
Dino, purtroppo, non c’è più da tanto tempo: ma dalle macerie fumanti, dalla polvere dei calcinacci è emersa ancora Lei: la Signora del Caffè.
I bar vendono cioccolate di tutti i tipi: cose da multinazionali. Ma poche persone conoscono veramente la storia del caffè, della cioccolata.
Io mi sono solamente limitato a raccontare una piccola, bella storia che ha un buon sapore.
Ed aggiungo un doppio augurio: per la zia che possa avere tanti anni ancora davanti a sé per insegnare l’arte dell’accoglienza, della cortesia, in lei da sempre innata.
Per la nipote che possa recepire fino in fondo tutti questi grandi, profondi e belli insegnamenti.
Per questa società che possa abbandonare, anche solo per un istante, la fretta, il rumore, la confusione e torni ancora a sentire questi profumi.
Quello del Caffè, quello della Cioccolata…


(Borgo Valsugana, lì 26 giugno, Anno Domini 2006: nei pressi della Chiesa di Sant’Anna)

(...dalla vecchia cornucopia...)

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Messaggioda panini e focacce » 12 lug 2007, 6:07

Gio Lug 12, 2007
...la canzone dell'Osteria Perduta ( "son et lumière")

Un filo d’olio per insaporire il piatto: un filo di blues per ravvivare i ricordi, per addolcirli.
Quella canzone che esce dalla finestra di quest’albergo, alle porte della mia Valle.
Primo decennio del secolo scorso: la gioia di vivere della grande nobiltà, i grandi viaggiatori d’Oltremanica.
C’era la Belle Epoque: e c’era questa Osteria.
Forse è un termine troppo impegnativo: una frasca per segnalare la sosta, il cambio di cavalli, un bancone di legno per la mescita del vino.
Testimonianze dirette non ce ne sono più: le persone nate a cavallo del secolo sono scomparse da tempo, purtroppo.
Zona di confine, di rischio, di tensioni: traffici di merci, movimento di persone, florido contrabbando del tabacco.
Adesso la stazione sembra un grande relitto d’altri tempi: ma non è sempre stato così.
La teoria dolente dei profughi: l’abbandono della terra, il cuore che sembra spezzarsi.
E i soldati durante le due guerre: la prima, che di grande aveva solo la crudeltà, la seconda che incendiò il mondo intero.
La miseria, l’emigrazione: e sempre questo binomio indissolubile.
L’ultimo pasto, l’ultimo bicchiere all’Osteria e poi la partenza: viaggio di sola andata.
Cucina familiare, ancorata alla terra, al territorio, alle tradizioni: profumi e sapori perduti.
Adesso dietro lavorano da mesi le ruspe: la terra viene venduta.
Ha resistito a due guerre: ma non all’ultima ristrutturazione.
La canzone continua: ha un’anima bella e dolente che coinvolge, appassiona.
Il locale giace immoto, immobile, freddo: lui la sua anima l’ha perduta.
Assieme al nome: adesso si chiama ristorante.

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Messaggioda panini e focacce » 14 lug 2007, 9:15

Sab Lug 14, 2007
...l'amante...

Quasi due anni che non la vedo, non l’accarezzo... E in luglio l’ho anche tradita un fine settimana con una più giovane: peccati estivi.
Sul molo ho un po’ di ansia: lei mi aspetta discreta vicino a un canneto, lontano dalla confusione della riva.
Arriva il marito, sempre gentile e sorridente: lui non è geloso, anzi! Mi dispensa sempre i suoi tesori di esperienza su come comportarmi al meglio.
I primi approcci, lei si scioglie un po’: poi ci rilassiamo entrambi, abbandonandoci al piacere.
I sensi si acuiscono e ogni cosa diventa bella, importante.
Il ragnetto a pochi palmi dai miei occhi ha un incedere calmo, si gode il bel pomeriggio anche lui: non ha la classica “24 ore” in mano.
Le leggere increspature dell’acqua ricevono il sole: un cielo di stelline che tremolano all’orizzonte.
Le anatre hanno cambiato il verso: segnano l’autunno.
Eolo è con noi: anche una fila di gabbiani col loro becco sempre controvento assaporano questa bella brezza ravvivata da qualche raffica.
Lei è un po’ gelosa: è il più grande lago del Trentino, ma tutti conoscono il suo compagno e da bordo a bordo fioccano i saluti.
Andiamo verso il tramonto, la separazione: si vorrebbe fermare questo splendido, interminabile “attimo fuggente”.
Arriviamo in spiaggia, saluto lui, attraverso il prato: aprendo il vecchio cancello di legno, lancio un’ultima struggente occhiata verso lei che adesso si dondola, riposandosi.
La mia amante: la barca a vela...

Lido di Caldonazzo: 12 settembre, Anno del Signore 2006


(Dedicato a Gianni con simpatia e riconoscenza, augurandogli sempre “Buon Vento” in acqua e nella vita)

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Messaggioda panini e focacce » 18 lug 2007, 8:09

Mer Lug 18, 2007
...le due piazze...

L’Eroe è in cima alla colonna e sopporta impavido l’eccentrico tempo di Londra: piogge frequenti e pallidi raggi di sole anche in quella che, solitamente, si chiama “bella stagione”.
La piazza porta il nome della sua battaglia più famosa, dove trovò anche la morte: Trafalgar.
Per la Patria aveva già sacrificato un occhio, un braccio: alla fine la vita.
Ma quando si diradava il fumo dei cannoni e il Contrammiraglio Nelson lasciava posto all’uomo, di quest’ultimo restava ben poco.
Forti pregiudizi, piccole miserie, vizi: una scialba moglie abbandonata in patria per cedere alla passione di mezz’età verso una donna piena di fascino e dalla scarsa moralità.
Il venir meno alla parola data da un suo compatriota di salvare la vita a quel gruppo di intellettuali, militari e idealisti, in cambio della resa. Per un breve, intenso periodo, avevano cercato di instaurare una vera ideale democrazia popolare in Campania.
La vanità di portare sempre sul petto medaglie e nastrini luccicanti lo tradì e la pallottola del cecchino arrivò a bersaglio.
Dopo tre lunghe ore di agonia moriva l’uomo e nasceva il Mito.
In una delle viuzze che fiancheggiano la vecchia “via dell’inchiostro”, Fleet Street, si trova una delle poche case georgiane rimaste.
Fu la sede del Dr. Johnson, autore del primo dizionario inglese. La casa risale al 1700 e, ancora adesso, vi si respira un’aria particolare.
Non l’eroismo che passa alla Storia ma la vita, la tenacia della gente che vive in un periodo violento.
Che nasce in una famiglia povera, che lotta per studiare.
Che cerca di aiutare il prossimo come può: intercedendo per una grazia, dando asilo fino alla fine dei suoi giorni all’amica cieca di sua moglie morta.
Lasciando una rendita più che generosa , dopo la sua morte, al suo servo di colore. Fondando club, parlando con i poveri e il suo Re.
Lavorando senza tregua, nonostante varie menomazioni che si trascinava da un’infanzia povera e piena di difficoltà.
Il primo aprì la strada al dominio dei mari della sua patria a prezzo di battaglie, morti e feriti: usando il suo carisma e la sua spietatezza a secondo di che aveva di fronte.
Il secondo accese la fiammella dell’umanità, della cultura e della comprensione.
La dolce luce dorata del tramonto per Lord Horatio Nelson; la penombra di Westminster per la tomba del Dottor Samuel Johnson..
Camminando nella città cantata da Dickens mi veniva da pensare di quali tipo di persone abbia veramente necessità una Nazione e il suo popolo…

(London, maggio 2007)

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Messaggioda panini e focacce » 23 lug 2007, 6:31

Lun Lug 23, 2007
Oggetto: ...el Bechèr...

Far el Bechèr ea na profession veramente da invidiar
co tuta a carne che se magna o che se spera de magnar

Jù, el casoin, el frutarol e el corner, nel paese o quartier
i xe più importanti de un dotor, de un professor o de un ingegner!

El Bechèr xe quasi sempre un omo grando e groso
vestio co na sveandra bianca, col viso e col naso rosso

A prima quaità xe necessaria par portar i quarti de bestia nel congeatòr
a seconda xe dovua ae ombre che ghe toca bear col mediator
infati par i provigionamenti ghe toca andar dal poemer e ai marcai boari
e par roba sana, bona e a bon marcà bisogna chel contrata co mediatori vari

Ea so bottega ea xa sempre lustrada a cera
Piastre bianche, pomei dorai, biancon co veri a spiera
un mucio de gansi, grandi, mediani e cei
co picai quarti de bestie, gaine, cunici, anare e agnei

Ea xa na goduria vardar sto ben de Dio e Jù da drio al banco
Un paso, un salto, na pesada, na taiada col so traverson bianco
Svelto coe man e col coreto, pronto a sodisfar tute e esigenze dea clientea
E intanto chel serve el decanta ea so carne disendo che in giro no ghe se de più bea

No ve digo come che a se presenta a bottega durante e feste grande
na roba da no credar, preparada come na sposa, linda e sgargiante
i porseeti in mostra col nastro tricoeor intorno a vita e col limom in boca
i quarti, e gaine, e cunici bardai a festa e el cartel “ea merce no se toca”

Onor al merito a un cussì gran e difisie mestier
fato co pasion, al servisio di tuti, evviva El Bechèr

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Messaggioda panini e focacce » 27 lug 2007, 6:33

Ven Lug 27, 2007
...il casale...

La macchina si avvicina, si ferma: ne scende una coppia. Ho accettato di mostrare a loro questo vecchio edificio contadino per fare piacere ad un mio amico. “Rustico da ristrutturare” è scritto sulla bacheca della sua agenzia immobiliare.
Si guardano attorno, la casa è grande e il terreno incolto. Entriamo: sull’arco di pietra è ricordato il passaggio di Napoleone. La porta resiste ancora: è di quercia, il legno dell’antichità, quello che simboleggia la forza e l’accoglienza.
Il pavimento di legno che scricchiola, i vecchi tappeti lisi della padrona di casa scomparsa da tanto tempo: la sala da pranzo con il grande focolare, le camere da letto dove il gelo dell’inverno veniva vinto con i bracieri.
Le cantine dai muri spessi per conservare il vino e le provviste per la brutta stagione; le stalle ricovero degli animali e rifugio degli innamorati durante i “filò”.
Sotto il tetto si conservava il fieno: il grande fico abbarbicato alla parete che volge a sud arriva fino alle piccole finestre di questa parte della casa.
I sassi squadrati dei muri sono frammenti delle nostre montagne così come il legno di pino , abete e larice che ci circonda sotto forma di porte, finestre e mobili ci parla dei nostri boschi.
Sotto i piedi, i sassi tondi dell’acciottolato ci ricordano il nostro fiume.
Alcune foto in bianconero sono sparse sul pavimento: sembrano animarsi e farmi entrare in un’altra epoca, un’altra civiltà, un altro mondo.
Tre famiglie, una ventina di persone: e fra queste, il mio amico d’infanzia.
Adesso la scena si anima: il vecchio nonno che alza il bastone verso i bimbi impertinenti, le donne che chiacchierano alla fontana, i versi degli animali nelle stalle.
Fatiche, speranze, delusioni, gioie e dolori: la vita.
L’uomo mi guarda stranito: rispondo a monosillabi e guardo verso la nostra superstrada piena di traffico. Ma adesso vedo solo qualche camion che arranca a fatica in salita, qualche rara macchina , moto o bicicletta.
Li accompagno alla macchina, stringo loro la mano e li saluto.
Poi mi allontano: il viaggio nel tempo è finito…

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Messaggioda Typone » 28 lug 2007, 6:52

Sab Lug 28, 2007
...la bevanda...

Ho rivisto Osvaldo domenica scorsa sull’Altopiano: è molto dispiaciuto.
Non sa darsi pace: il Presidente di quel gruppo di ciclisti amatori veneti non lo saluta più e quando incrocia il suo sguardo lo guarda fisso freddamente e poi gira con palese disgusto il viso dall’altra parte.
Ma perché, perché? A pensare che aveva fatto di tutto: e anche di più.
Aveva messo a disposizione il suo “baito” di montagna come quartier generale estivo di quella Associazione ad un prezzo di favore: lui ama lo sport, in tutte le sue manifestazioni.
L’ultima volta era stato una domenica di agosto: più o meno in questo periodo.
Loro erano partiti dalla Città del Ponte degli Alpini: Bassano del Grappa. Avevano fatto la destra Brenta per evitare la superstrada trafficata: poi avevano incominciato a scalare i tornanti per salire da lui.
A poco a poco erano finiti le chiacchiere, i richiami: si sentiva solo il loro respiro affannoso. Si sa il ciclismo è fatica: e loro non avevano più vent’anni, alcuni erano corpulenti e rubizzi.
Ma lui li aspettava, premuroso come una mamma: arrivano affranti, buttavano la bicicletta sul prato per trascinarsi carponi verso il vicino ruscello.
Ma lui vigilava: li prendeva per una caviglia con dolce fermezza e li trascinava lontano, dove li ristorava con la sua bevanda energetica. L’acqua, da sudati, sarebbe stato uno sbaglio per la salute, di sicuro.
Si ribellavano, scalciavano ma lui chiudeva loro il naso: quando aprivano la bocca per respirare, lui destramente aggiungeva una robusta boccata del suo elisir.
Tossivano, sputavano ma poi si abbandonavano serenamente quasi esamini al suolo: li guardava con simpatia, per fortuna che c’era lui.
L’ultimo fu il Presidente: in virtù del suo rango ebbe doppia razione e stramazzò a terra con un rantolo.
Dopo ci furono un sacco di storie: le mogli venute in macchina urlarono vedendo tutta la truppa a suolo senza alcun segno di vita, alcuni vomitarono, altri si lamentavano: tutti lo guardarono con odio, quasi, ma per fortuna non riuscivano né a parlare né a camminare.
Ma dove, dove aveva sbagliato? Si tormentava le mani, ripeteva questo ritornello.
In fondo era la sua migliore grappa fatta in casa: quaranta gradi abbondanti, tanta fatica, il pensiero…ed ecco la riconoscenza!

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Messaggioda panini e focacce » 31 ago 2007, 5:55

Lun Ago 06, 2007
...il pittore del lago...

Un secolo fa moriva Eugenio Prati; un secolo fa Caldonazzo era un borgo dedito all’agricoltura con i ritmi lenti e immutabili della società contadina.
Studiò pittura a Venezia e Firenze , assimilò gli insegnamenti ma li elaborò in modo personale creando un suo stile particolare e raffigurando scene agresti e i gli incanti del lago omonimo in quei momenti particolari del giorno che sono l’alba e il tramonto.
Penso a lui mentre entro nella Corte Trapp del borgo che dà il nome al lago: attraverso il cortile dove si balla festeggiando un matrimonio.
Ci sono i quadri anche di suo fratello Giulio Cesare che studiò all’ Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e , in seguitò, emigrò in Brasile e Argentina.
Pure quelli del loro nipote Romualdo che, fra l’altro, visse dieci anni a Parigi nel periodo più intenso della “Belle Epoque”: vite diverse, intense, segnate entrambe dall’amore per la pittura e la propria terra nativa.
All’interno della mostra c’è poca gente: è un afoso pomeriggio di mezza estate. Una prosperosa hostess di mezza età è in fondo al corridoio, silenziosa e con l’aria mesta e rassegnata: un’altra, con l’apparenza di ex miss , parla sottovoce al suo telefonino.
Dall’esterno proviene una musica da ballo suonata a tutto volume che mal si accorda con le atmosfere ovattate, le scene agresti , gli acquerelli e le tinte pastello di questa piccola dinastia di pittori vissuta a cavallo del fine ottocento e la prima metà del novecento.
Usciamo. Sul muro sono attaccate le foto degli sposi a colori: sono giovani, belli e sorridenti. La sposa ha un vestito bianco, appare spigliata e disinvolta. Forse troppo, facendo trapelare la preferenza cromatica del suo intimo.
Jola mi dice che sono di moda le foto così, “spiritose”. Capisco: o, almeno, mi sforzo. La brutale chiarezza del digitale è lontana anni luce dagli incanti che suscita la magia evocativa della pittura.
Sul lago si consuma il rito pagano dell’abbronzatura: sotto la veranda Gianni è con una tavolata. Lo saluto, gli lascio un libretto di poesie scritte da “un foresto” per il “lac” e dove, in copertina, compare una delle sue barche a vela preferite.
Scende il tramonto: strisce d’oro sull’acqua, il chiarore che viene inghiottito pian piano, il silenzio che prende possesso dei canneti lungo le rive.
Sarebbe bello fissare questi attimi incantevoli su tela.
Ma il pittore del lago non c’è più…

(Caldonazzo, 14 luglio 2007)

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Messaggioda panini e focacce » 31 ago 2007, 5:56

Mer Ago 08, 2007
...i sussurri del lago...

Scende la sera: si alza il vento. I canneti si piegano: il lago incomincia a sussurrare.
Vicino al Lido di Caldonazzo nasce la Brenta; pochi lo sanno ma una volta la sua foce era costituita dai quattro chilometri e mezzo d’acqua più belli del mondo: il Canal Grande, “il Canaazzo”.
Il vento lambisce la Cà Rossa, l’ultimo posto che viene abbandonato dal sole: una recente ristrutturazione le ha fatto perdere un po’ del suo fascino “rètro”.
La sella di Tenna divide l’altro lago, quello di Levico: più piccolo ma non meno suggestivo. Sulle sue pendici grandi e belli vigneti lavorati, combattendo la pendenza.
Il faro, il più vecchio locale sorto sulle sue sponde, quando ancora passava la vecchia statale: non c’è più quella fatina bionda, venuta a mancare dopo la tragica scomparsa del suo amato.
In alto la Villa dei Trapp, vecchi nobili del luogo: oltre sull’orizzonte l’antica chiesetta di San Cristoforo.
Adesso il vento torna indietro e va verso il piccolo porticciolo di San Cristoforo, prende forza e corre verso Calceranica: i monti fanno corona tutt’attorno.
Qualche inverno si ghiacciava la superficie e qualcuno vi si è pure inabissato con la macchina: sussurri, ricordi di dolore e morte.
Ma anche sapore di gioventù, gioia e vita: il popolo olandese, per esempio, si è innamorato da sempre di questo posto e lo conoscono da generazioni.
Il lago alla sera induce alla contemplazione, alla meditazione: rilassa e fa pensare.
Le stelle sorgono nel cielo, le luci lungo la sua riva: quanti innamorati avranno passeggiato, sognando la loro vita futura, facendo mille progetti in comune. E quanti anziani sulle panchine le fissano assorti: quando i ricordi sono l’unica cosa bella che resta a loro.
Il lago ha un’anima bella e gentile e a tutti loro sussurra qualcosa…

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Messaggioda panini e focacce » 31 ago 2007, 5:58

Ven Ago 10, 2007
...l'ultima nota...

La musica nasce dal cuore, dall’anima.
Scaturisce spontanea come l’acqua dalle sorgenti di montagna.
Copre le miserie umane: dona sollievo e serenità.
La nota volteggia, accarezza: distilla gocce di felicità.
Adesso vibra nell’aria: per l’ultima volta.
E già nasce il rimpianto…

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Messaggioda panini e focacce » 31 ago 2007, 6:26

Ven Ago 24, 2007
...la lingerie...

Combien temps, imagination, créativité…

Pour la choisir apte à elle…

Pour la lui faire mettre…

Et puis…

Autant d’efforts…

Pour la lui faire enlever…

La lingerie…




(…amateur du beau…)

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Messaggioda panini e focacce » 31 ago 2007, 6:27

Gio Ago 30, 2007
...Ali spezzate...

Alzarsi da terra e librarsi in volo: da sempre il volo degli uccelli ha affascinato l’uomo fin dal tempo degli aruspici degli Etruschi e degli studi di Leonardo.
Anche a noi i loro voli comunicano sempre emozioni diverse: le acrobazie in formazione degli storni, il saettare del falco, il volo circolare della poiana, quello alto e solenne dell’aquila, la Regina del Cielo.
Per questo, pur abituati alle brutte notizie giornaliere, alcune ci colpiscono nel più profondo dell’animo, ci rattristano: viviamo questi accadimenti come uno sfregio, un cattivo presentimento.
Come quando una specie di cigni, fra le più belle del mondo, deve modificare le sue abitudini di migrazione e fermarsi in Sicilia. Ma non per svernare: per morire.
La morte che incontra la bellezza, la umilia, la cancella.
E l’ennesimo disastro ambientale che condanna ad una morte lunga e penosa migliaia di volatili.
Uccelli abituati a percorrere migliaia di chilometri in cielo: uccelli che adesso faticano a fare qualche metro, una volta arrivati sulle spiagge; intirizziti, infreddoliti con addosso il nero colore della morte.
Scampati all’annegamento ma che non potranno evitare la fine per altre cause come il lento soffocamento od il congelamento.
Camminano a tratti, cercano di pulirsi: a volte si fermano guardando a lungo verso l’alto.
Per fissare quel cielo diventato improvvisamente lontano ed irraggiungibile.


(...dalla vecchia cornucopia...)

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Messaggioda panini e focacce » 6 set 2007, 9:02

Gio Set 06, 2007
...La ballata di Tex...

Un mondo dominato da due colori principali: il bianco e il nero.
Il bianco della luce abbacinante dei deserti: il nero dell’animo dei “cattivi”.
Gli ordini all’oste: bistecca, birra, patate fritte e caffè.
Il suo vecchio “pard” preciserà: la prima dovrà essere alta “due dita”, la schiuma della seconda tre: la quantità della terza “una montagna” e, infine, il colore dell’ultimo “nero come la pece”.
La parlata, naturalmente; è rigorosamente texana: lenta, strascicata.
Le donne compaiono solo di sfuggita: la giovane moglie morta in circostanze tragiche, qualche avventuriera con cui si scontra, profili di ballerine sullo sfondo di qualche “saloon”.
Al banco di quest’ultimo e in compagnia anche del “pard” indiano e del figlio pronuncerà la formula magica per avere l’agognato wiscky: “dammi il solito torcibudella”.
Un linguaggio scarno, essenziale e una natura selvaggia, incontaminata dove, in un ambiente ostile, vige una sola legge: quella del più forte.
Il crepitare della legna nel bivacco, le ombre nere della mandria che riposa: e la luna rossa che rischiara la radura, la “luna comanche”.
Il profumo della salvia in fiore : il sonno che non arriva mentre affiorano la nostalgia e i ricordi.
Nostalgia per la lontananza della famiglia, la mancanza fisica di una donna . I ricordi degli amici e compagni scomparsi lungo le piste piene di pericoli, insidie e agguati.
Una vecchia chitarra, una voce roca e a tratti dolente: cosi è nata questa musica, così è nato il “country”.
Un periodo fatto di violenza e di speranza: un popolo che andava verso la distruzione o l’abbrutimento mentre un altro poneva le basi di una grande nazione futura.
Questa ballata parla di questa epopea: “l’epopea del West”.

E’ la “Ballata di Tex”…

(Per l’imprenditore che, gettando un sasso nello stagno di questa bella cittadina di impronta veneziana, ha ricreato un simpatico “ambiente western”).
Un doppio augurio: che i cerchi si allarghino e, soprattutto, la mano non si stanchi…)

(...e rep Anavlis ad Onurb)

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Messaggioda panini e focacce » 7 set 2007, 6:47

Ven Set 07, 2007
...Le Chat Noir...

Il mitico Gatto Nero.
Jola mi chiedeva il perché a Montmartre fosse onnipresente nelle pareti del nostro albergo, nelle locandine delle brasserie o bistrò, nella piazza dei ritrattisti in cima alla collina.
Tutto risale ad un estroso artista svizzero, Rodolphe Salis, che nel 1881 aprì il suo primo cabaret in onore del suo gatto, Amoureux, che una sera gli era caduto in testa da un lampione a gas.
Nella via in cui si trovava il nostro albergo, tue Calaincourt, viveva un artista appassionato di gatti con la sua famiglia e il suo gatto Negre. Il suo atelier si chiamava “cottage dei gatti”.
Li amava, ritrasse le loro fisionomie, le crudeltà che ricordano gli umani. In essi ognuno riconobbe il proprio: la portinaia, la sartina, gli innamorati, i pittori squattrinati.
Gatto, animale misterioso, e nero in spregio alla superstizione. Entrò nell’immaginario della gente, quanti locali, night ebbero la “silhouette” del gatto nero immortalata da Touluose- Lautrec.
Il “Gatto Nero” ormai è entrato nell’immaginario collettivo; per non parlare degli impressionisti.
Ma Jola, ormai, non mi ascolta più: stanca dell’intensa giornata, ha reclinato il capo sulla mia spalla.
Eravamo seduti in una panchina, proprio vicino a dove abitava Thèophile-Alexa Steinlen, il pittore dei gatti.
Mentre riposa, un gatto nero attraversa la strada…

(...per Mariella...)

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Messaggioda panini e focacce » 14 set 2007, 18:05

Ven Set 14, 2007
...l'ultima rosa...

Via Cavour è una delle vie di Trento che più ha conservato la sua atmosfera : il fascino della vecchia città.
C’è ancora il vecchio “Bar Sport”, l’edicola, l’Associazione Italo-Ispanica, il centro per imparare le lingue estere.
Quel vecchio condominio, la stanza al terzo piano dove abitavo da studente quasi quarant’anni fa: la finestra è aperta.
Nostalgia canaglia: era il preludio del ’68 e a quel tempo ascoltavo gli ultimi successi di Moustaki e Jonny Halliday.
Non c’è più l’ albergo Cavallino Bianco: il primo rifugio per chi arrivava dalla stazione e cercava una sistemazione economica.
Alfredo ha compiuto l’ultima passeggiata il lunedì antecedente il Natale di quattro anni fa: portando una rosa rossa a tutte le donne che lavorano nella via.
Gli occhi bagnati dall’età, il passo malfermo di una persona di ottanta e più anni: lo stesso rito da più di mezzo secolo.
La Signora Wilma osserva nello studio sopra una delle sue boutique quel contenitore in vetro swarosky vuoto che conteneva quel fiore scarlatto.
Pensa anche lei a quando scrisse pagine importanti nell’abbigliamento della città scoprendo le gambe delle trentine: e anche buona parte della coscia.
Quando Carnaby Street era una via folle e colorata: e le sue vibrazioni raggiungevano il mondo intero.
Ma lei carezza quella foto, pensa a lui che gli anni e i denari , le miserie e le difficoltà della vita non avevano mai cancellato il fanciullo che alberga nel cuore di ognuno di noi.
Il cristallo cattura l’ultima luce, la rifrange, la moltiplica: una lacrima ravviva il fiore della foto.
L’ultima rosa…

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