da Sandra » 14 giu 2011, 8:00
E per dare a Cesare quello che é di....
Sardenaira, qualche appunto
pubblicata da Romolo Giordano il giorno giovedì 3 febbraio 2011 alle ore 19.36
come la chiamiamo ? ha molti nomi, di paese in paese, di casa in casa le ricette cambiano anche se di poco ma i nomi si, in ognuno dei nostri dialetti questa preparazione viene chiamata con un suo termine che ne caratterizza la provenienza, ma mai, mai viene chiamata "pizza " come invece capita il più delle volte.
É vero che i tristi quadratini di pasta lievitata con un po' di sugo rosso sparso sopra che troviamo nelle nostre panetterie e nei nostri bar sono il più delle volte ibridi mal riusciti, vorrebbero essere sardenaira, non sono pizza ... non sono nulla
Nei ricordi di qualcuno che leggerà questa nota ci potrebbe essere il famoso quadrettino che stava esposto a Sanremo ai " Vini d'Italia " in quel bouchon all'angolo tra via Roma e corso Mombello da dove per almeno cento metri in ogni direzione si sprigionava l'aroma della migliore delle sardenaire ; recitava con saggezza del tempo " a nu se poe ciamà piza a sardenaira " una verità indiscutibile
facciamo un passo indietro e riconosciamo che di questa preparazione siamo debitori ai nostri cugini d'oltrefontiera, se non nella ricetta finale, che ha avuto le sue giuste evoluzioni territotiali, nel nome si.
a Nizza si ha ancora la fortuna di gustare in qualche angolo, specie nel Vieux Nice intorno al Cours Saleya, dell'ottima "pissaladière" ed è da questa preparazione e da questo nome che inizia la storia della nostra " sardenaira "Che cosa è la " pissaladière " ? All'origine della pasta da pane lievitata lavorata con olio extravergie, stesa in una teglia da forno viene spennellata con una fine passata di "pissalat" sul quale si adagia uno strato di cipolle stufate a lungo in olio, cosparsa di olive "cailletier " ( la nostra taggiasca, regina degli oliveti da Saint Tropez al savonese ) , infornata e cotta fino ad essere croccante.
" Pissalat " è nel patois nizzardo la contrazione di " peis salat " ( pesce salato ), una pasta ottenuta da piccole acciughe o sardine sotto sale , rimestate di giorno in giorno e infine passate al setaccio , conservata gelosamente per dare un tocco a molte ricette nizzarde e provenzali
Storicamente il " pissalat" può essere considerato erede e variante del " garum " dei romani , ( in realtà la colatura della iera amalfitana gli è più simile ) che i nostri avi conquistatori della Gallia producevano in abbondanza su questo litorale.
Saltando al di quà della frontiere il " pissalat", fatto un po' ovunque sulla costa diventa però " machetu " a Bordighera che ne rivendica la paternità al punto che i bordigotti da molti abitanti dei comuni limitrofi venivano un tempo chiamati " mangiamachetu"
E a Bordighera mia nonna paterna, bordigotta " du paize autu" cospargeva la sua " pisciarà" con gocce di " machetu".
Fate caso alle varianti del nome lungo la costa:
da Nizza dove parte come " pissaladière" a Mentone dove diventa "pichada" ( ovviamente con accento sulla a finale ) e qualche volta compaiono delle rondelle di pomodoro fresco a Ventimiglia dove la conosciamo come " pisciadela " a Bordighera: " pisciarà" fino a Oneglia e Porto dove diventa "piscialandrea"
anomalo è il caso di Sanremo dove questa preparazione prende il nome tutto suo di " sardenaira" certo perchè all'origine invece che con acciughe salate veniva preparata con l'aggiunta di sardine salate, ma dove veramente abbiamo il riscontro tra la radice nizzarda e quella ponentina è ad Apricale e in altri piccoli borghi dell'entroterra dove la nostra viene chiamata " machetusa " ( quindi con ingrediente caratterizzante il machetu come quella nizzarda ha il pissalat ); Dolceacqua dove però la preparazione è abbastanz adiversa è conosciuta come " pasta ruscia " in contrapposizione alla più celebrata e quasi unica " pasta verde "
Curiosa la denominazione di Oneglia e dintorni sulla cui origine qualche poco profondo scrivano di volumi di cucina ha voluto andare un po' in là con la fantasia collegandola ad Andrea Doria sottolineando anche il fatto che il grande ammiraglio ne andasse ghiotto e ne facesse la sua usuale colazione del mattino.
Uno svarione storico sulle date di comparsa degli ingredienti nelle cucine del nostro ponente.
Il pomodoro, emblema della cucina mediterranea è come ben sappiamo uno di quei frutti dell'Eldorado portati da Colombo o da chi era con lui al ritorno di uno dei viaggi nelle americhe; ma si sa la diffusione degli ingredienti non aveva la rapidità attuale e la diffidenza verso il nuovo era grande; troviamo citato per la prima volta il pomodoro come alimento verso la fine del 1500 nella nota spese di un ospedale sivigliano ma ci vorranno ancora quasi due secoli per sentirlo citato come cibo, e a crudo in insalata, in Liguria; ora il nostro ammiraglio che pur campò fino a quasi cent'anni, un'età biblica per i tempi, si spense nel 1560 molto prima che i " pomi d'oro " avessero fatto la loro comparsa in forma di sugo sulla superficie della nizzarda focaccia con le cipolle.
segue prossima puntata con la ricetta ( meglio con una ricetta )
prologo
qualche anno fà, sette o otto non ricordo, dovevamo andare a Berlino ad allestire un importante banchetto per giornalisti e operatori turistici per conto della regione Liguria; il menu che proponemmo pur realizzato con prodotti della nostra terra lasciava un po' di spazio alla fantasia come era tradizione alla Via Romana ma nel buffet dell'aperitivo volli seguire una linea rigorosamente del territorio, essendo io convinto che la nostra regione e ancor più il nostro Ponente possano proporre tutta una serie di "divertissement" gastronomici che hanno pochi rivali per varietà, bontà e leggerezza nel pur ricco e variegato panorama della cucina di tradizione italiana;
ma la " sardenaira " che facevamo non mi soddisfaceva e da sempre convinto che la migliore che si trovasse nei ristoranti della zona fosse quella delle " Terme " di Pigna chiesi a Gloria Rossi, somma interprete della nostra cucina di tradizione, la possibilità di un "mini -stage - momtematico " per Pino Franzé allora chef alla Via Romana ed ora ad Agua-Bistrò del Mare; devo dire che la sardenaira di Pino non è uguale a quella di Gloria, ma si sa ogni mano è diversa dall'altra e impastare è anche una questione di calore trasmesso all'impasto, di mosse lievi e diverse, chissà magari anche di fluidi impercettibili
comunque noi ora la facciamo molto semplicemente così:
per l'impasto:
400 gr. di farina 00
50 gr. di lievito di birra
6 cucchiai di olio extravergine d'oliva
270 cl. di acqua tiepida
sale q.b.
mettete la farina a fontana sulla spianatoia o versatele in una grande boule, salate e mescolate
fate sciogliere il lievito di birra nell'acqua tiepida, aggiungete l'olio, mescolate e versate tutto sulla farina
impastate il più velocemente possibile ed il meno possibile; meno impastate e più elastico, leggero e croccante risulterà l'impasto
stendete in una teglia da forno oliata e fate lievitare in luogo tiepido e ricoprendo l'impasto con un panno per circa 25 minuti
la salsa
2 cipolle bionde medie affettate
1 scatola di pomodori pelati da 400 gr
olio extravergine d'oliva q.b.
sale, pepe, zucchero
fate rosolare le cipolle affettate nell'olio caldo fino a che siano translucide senza dorare, aggiungete i pelati e un pizzico di zucchero
con un bel cucchiaio di legno ( proibito nelle cucine dei ristoranti ma non a casa vostra ) disfate i pelati rimestando;
aggiustate di sale e pepe e fate cuocere per una ventina di minuti
per decorare
spicchi d'aglio vestiti e tagliati a metà
olive taggiasche in salamoia col nocciolo
origano
filetti di acciuga dissalati
a questo punto versate la salsa sulla pasta, decorate con gli ingredienti riportati sopra, fate lievitare ancora 5-10 minuti e poi cuocete in forno assai caldo 180-200° per 25 minuti circa; controllate la doratura della crosta del bordo
è buona anche fredda ma tiepida, dieci minuti dopo l'uscita dal forno, è insuperabile
ci sono mille varianti .....parliamone