da Barbara » 26 giu 2007, 9:08
Tratto dalla rivista “L’Arte Bianca”, settimanale informativo della Federazione Italiana Panificatori
Spagna, panificare in estate
Dalla rivista Molineria y Panaderia l’analisi degli inconvenienti della panificazione nella stagione calda e i suggerimenti dell’esperto spagnolo Francisco Tejero
“La panificazione d’estate” è il titolo di un lungo articolo pubblicato dalla rivista spagnola “Molineria y Panaderia”, in cui Francisco Tejero, direttore tecnico della rivista stessa, esamina i problemi che possono insorgere in laboratorio durante la stagione più calda. L’analisi dell’esperto e i rimedi che egli suggerisce, pur riferiti all’ambiente professionale spagnolo, possono avere interesse anche per i panificatori italiani.
Quando arriva l’estate, la panificazione subisce un cambiamento, in conseguenza delle alte temperature, che influiscono sulle materie prime e, in particolare, sulla farina.
Quando le temperature non possono essere controllate, accade che gli impasti subiscano una trasformazione, frutto delle attività che si producono in essi e che interessano la forza e la
fermentazione delle masse stesse. Altri problemi che si manifestano durante l’estate hanno a che vedere con la conservazione dei prodotti impachettati (come il pane di cassetta, il pane per hamburgers, ecc.), che possono subire un’accelerazione nella formazione di muffe.
Anche il pane filante è un’altra anomalia che occorre conoscere per combatterla. Questo articolo è un “memento” dei problemi che interessano gli impasti e i pani, quando arriva il fatidico periodo estivo che molti panificatori considerano con vera preoccupazione per il proprio lavoro.
Influenza delle alte temperature sulla farina
La durata e la conservazione delle farine è normalmente di tre mesi, dal momento della macinazione del grano. Tutti i panificatori sanno che la farina macinata da poco non è adatta alla panificazione e che essa migliora con un periodi di riposo che va dai 15 ai 30 giorni, secondo si tratti di grani raccolti di recente o che sia già passato qualche mese dalla raccolta.
Aerando la farina o esponendola all’aria, essa subisce un processo di maturazione o invecchiamento, e questa evoluzione dipenderà dalla temperatura del magazzino: sotto ai 15° C la farina si può conservare perfettamente fino a sei mesi, ma quando la temperatura si avvicina o supera i 30 gradi, l’irrancidimento e la diffusione dei parassiti si manifestano rapidamente.
Inoltre, cala di molto la forza e aumenta la estensibilità, ciò che porta ad avere impasti senza forza e pani di volume ridotto e con una mollica eccessivamente compatta.
Le condizioni ideali per la conservazione della farina considerano una temperatura tra i 18 e i 20° C e una umidità del 50-60 per cento: non solo per la conservazione della qualità della farina, ma anche affinché la temperatura finale si mantenga sui 23-25°C al completamente dell’impasto, senza dover ricorrere al ghiaccio negli impasti stessi.
Nella maggior parte dei panifici moderni il magazzino della farina o il locale dove sono collocati i silos sono dotati di impianto di condizionamento, affinché la temperatura si mantenga al di sotto dei 20°C. Nei panifici più tradizionali, dove non si dispone né di questi spazi né di queste installazioni, esiste una soluzione per risolvere il problema della temperatura della farina in estate: se si dispone di celle frigorifere sufficientemente ampie, un buon sistema per sopportare i giorni di grande calore è quello di mettere nella cella frigorifera, il giorno prima, la farina che si utilizzerà il giorno seguente.
Temperature degli impasti
Quando arriva l’estate, il laboratorio non è climatizzato e gli impasti superano i limiti normali di temperatura, si manifesta uno tra i più seri problemi del processo di panificazione: gli impasti tenaci.
La temperatura della massa, al completamento dell’impasto, gioca un ruolo importante tanto nell’equilibrio e nella forza della massa stessa quanto nella fermentazione.
E’ indispensabile portare la massa, nella fase finale dell’impasto, alla temperatura ideale, che può oscillare tra i 23 e i 27°C, in rapporto al grado di meccanizzazione del laboratorio. La temperatura ottimale è di 23°C nei processi più meccanizzati, e di 27°C nei processi più artigianali e con dosi basse di lievito.
La temperatura dell’impasto può influire in due modi sulla forza dell’impasto stesso: a partire da 25°C aumentano proporzionalmente la forza e la tenacità, favorendo l’attività di fermentazione. Al contrario, con temperature inferiori a 25°C aumenta la estensibilità, rallenta la fermentazione e diminuisce la forza; in questo modo, se la temperatura è molto bassa, si genererà un forte indebolimento dell’impasto.
Accade il contrario, quando la temperatura è superiore ai 25°C. Gli impasti tornano forti e tenaci e la fermentazione si sviluppa molto rotonda, con poca base di contatto dell’impasto con il vassoio o il ripiano di lavoro. Quando nell’impasto coincidono molto lievito e temperatura alta, l’eccesso di forza produce filoni incurvati, rotondi e di minor volume e pani che si asciugano rapidamente.
Il ricorso alle scaglie di ghiaccio per controllare la temperatura dell’impasto
Ci sono panifici che non dispongono di sufficiente acqua fredda o hanno una impastatrice ad alta velocità e provoca un gran riscaldamento degli impasti; per questo si usa del ghiaccio per abbassare la temperatura della massa. Anche se esiste un metodo per calcolare la quantità esatta di ghiaccio che si deve utilizzare per azzeccare la temperatura dell’acqua, si può dire che per diminuire di 1°C la temperatura di un litro di acqua, bisogna aggiungere 12 grammi di ghiaccio. Così, per esempio, se abbiamo 30 litri di acqua a 10°C e dobbiamo abbassarla a 5°C, il calcolo sarà: 30x12x5 = 1.800 grammi di ghiaccio.
Il ghiaccio, una volta sciolto, è acqua e perciò è necessario detrarlo dalla quantità globale di acqua della formula che abbiamo indicato.
L’uso del termometro in ogni impasto ci dirà se è necessario o no aggiungere ghiaccio, consentendoci di intervenire per rettificare la temperatura della massa.
Alte temperature e conservazione del pane
Quando il pane esce dal forno, e per un periodo di più meno tre ore (dipende, ovviamente, dalla dimensione e dallo spessore del pane), si manifesta una traspirazione dell’acqua, dalla mollica verso la crosta, che determina un calo del peso di circa il 2%.
Molte volte quest’acqua viene trattenuta nella crosta, provocando nei pani il problema del “rinvenimento”.
Quando le condizioni del locale e l’umidità ambientale sono secche, non c’è dubbio che il pane invecchia più rapidamente.
Se, al contrario, l’umidità ambientale è superiore al 75%, come accade nei giorni piovosi e durante tutto l’anno nelle zone costiere, il fenomeno si manifesta al contrario: il pane diventa gommoso (cioè “rinvenuto”).
La temperatura e il tempo sono elementi chiave nel processo di invecchiamento. Ecco i fattori che influiscono sul “rinvenimento”.
La farina, se ha una elevata attività enzimatica, determina un maggiore “rinvenimento”, poiché a una maggiore presenza di destrina corrisponde una maggiore ritenzione di acqua. Anche le farine di forza assorbono maggiore quantità di acqua, producendo una crosta gommosa, a misura che aumenta la forza della farina.
I grassi in dosi eccessive aumentano il grado di “rinvenimento”.
Le masse madri molto acide e in quantità rilevante contribuiscono ad aggravare il problema.
Il tempo di cottura non corretto è tra le principali cause del “rinvenimento” del pane. Nelle zone costiere e quando le giornate sono molto piovose, questo problema si presenta con molta frequenza. La soluzione è cuocere per più tempo e a più bassa temperatura.
Confezionare o ammonticchiare il pane caldo o immagazzinarlo in luoghi chiusi, sono altri fattori che incidono sul “rinvenimento”.
Aumentare la temperatura della massa danneggiata da un eccesso di forza
La forza della massa è fattore determinante per la qualità del pane, a tal punto che la mancanza di forza o un eccesso della stessa causano frequentemente problemi.
Il panificatore, normalmente, attribuisce alla farina la mancanza o l’eccesso di forza, senza tenere conto che esistono altri fattori che egualmente influiscono sul processo. L’eccesso di temperatura nell’impasto e le dosi elevate di lievito sono i problemi principali, anche se nella forza della massa hanno influenza anche la farina, il tipo di impasto e di impastatrice, la quantità di sale e il momento in cui lo si incorpora, i miglioratori e il tempo di riposo prima della formatura.
Ma sono la temperatura della massa e la quantità di lievito i fattori che, soprattutto d’estate e nei climi caldi più influiscono sulla forza della massa e l’attività di lievitazione.
La quantità di lievito
E’ un fattore che spesso sfugge al fornaio. Nella maggior parte dei panificia artigiani, si comincia con una dose elevata di lievito e si termina con una dose molto più modesta. I cambiamenti nella forza della massa variano con la diminuzione della dose di lievito e capita spesso che all’inizio della giornata l’impasto abbia un eccesso di forza e che nelle ultime infornate le masse si presentino allentate e deboli. In questo ciclo, ci sono infornate di pane che riescono meglio di altre perché sono il risultato della coincidenza di una dose ottimale di lievito e un tempo ideale di riposo.
E’ necessario, perciò, che il panificatore valorizzi questo punto di coincidenza, per dare in tal modo equilibrio alla forza dell’impasto.
Il tempo di riposo
L’impasto aumenta di forza in rapporto al prolungarsi del tempo di riposo, indipendentemente
Dal fatto che sia ancora un solo blocco o che sia già diviso.
Il riposo rende più facile per il panificatore equilibrare l’impasto: se ciò che desidera è maggiore forza, lo lascerà riposare più a lungo; se, al contrario, intende ottenere una massa più morbida ed estensibile, ridurrà questo tempo.
Si ridurrà il tempo di riposo:
• quando l’impasto è più caldo
• quando il laboratorio è molto caldo
• quando l’impasto contiene molto lievito
• quando l’impasto risulti duro
Si aumenterà il tempo di risposo:
• quando l’impasto sia freddo
• quando il laboratorio è molto freddo
• quando l’impasto contiene poco lievito
• quando l’impasto sia soffice.
La fermentazione e la temperatura
La fermentazione è il periodo che va dal momento in cui si aggiunge il lievito all’impasto fino a quando il pane entra nel forno; quando la massa raggiunge i 55°C, termina la fermentazione.
Durante questo periodo l’impasto subisce una serie costante di cambiamenti, che si manifestano nel cambiamento di volume.
In una prima fase, gli zuccheri semplici che si trovano nella farina (glucosio, fruttosio), sono rapidamente assimilati dal lievito e comincia dunque a prodursi il gas.
In alcuni processi, quando si vuole ridurre questa gasificazione iniziale, (per esempio nelle masse congelate) si fa ricorso a masse molto fredde, aggiungendo il lievito nella fase finale dell’impasto.
In un momento successivo, per l’attività degli enzimi del lievito, comincerà un’altra fase di produzione di zuccheri semplici, a partire da altri più complessi (maltosio, saccarosio); in tale modo, simultaneamente, si torna ad avere zuccheri semplici disponibili.
Quando finiscono questi zuccheri, si può osservare che la fermentazione ha un arresto, fino a che torna nuovamente a essere rifornita di zuccheri semplici. Questa ultima fase della fermentazione è più lunga e completa e la conseguenza è l’apporto di nuovi zuccheri, derivanti dall’amido della farina.
Influenza delle quantità di lievito e temperature
In un impasto di pane normale, che non porti zuccheri né ritardanti della fermentazione, come possono essere i conservanti o gli acidificatori di massa, il fattore limite della fermentazione è la quantità di maltosio disponibile.
La velocità di fermentazione a una determinata temperatura aumenta in rapporto alla dose di lievito, sempre e quando gli zuccheri necessari alla fermentazione si vadano producendo al ritmo con cui vengono consumati.
Se, per esempio, la massa non ha abbastanza enzimi, il ritmo della fermentazione rallenta, fino a disporre nuovamente di zuccheri. Pertanto, con una maggior quantità di lievito, questa consumerà più rapidamente l’alimento, la velocità di fermentazione sarà maggiore, ma non la quantità di gas, dato che produrrà la stessa che produrrebbe con minore quantità di lievito. Dunque, la quantità di gas non è proporzionale alla quantità di lievito aggiunta.
Aggiungendo più lievito, non si produce più gas ma lo si produce più rapidamente.
La velocità della fermentazione dipende anche dalla temperatura alla quale si inserisce il lievito nella massa, che dipende a sua volta dalla temperatura della massa stessa e anche dalla temperatura della cella di fermentazione. Anche lo sviluppo degli enzimi dipenderà dalla temperatura; tra i 20 e i 45°C, a misura che la massa aumenta di 1°C, la velocità di fermentazione aumenta di un 10%.
La temperatura più favorevole per lo sviluppo della fermentazione è di 26°C, anche se la produzione di gas è più lenta, la produzione di acido lattico acetico e butirrico è più contenuta e il complesso enzimatico meno attivo. Ciò farà sì che la crescita nel forno sia più contenuta e che il pane così ottenuto sia meno consistente, meno appiccicoso e, certamente, più saporito e adatto a una più lunga conservazione.
E’ anche importante sottolineare che la dose di lievito e la temperatura dell’impasto condizionano la forza dello stesso.
Con una maggiore quantità di lievito e una maggiore temperatura alla conclusione dell’impasto, la massa sarà più forte e più resistente alla formazione. Al contrario, con dosi di lievito basse e temperature fredde, la massa sarà più debole e più estensibile.
Mentre si sviluppa la fermentazione, si andranno producendo cambiamenti nella massa, aumenterà la tenacità, cosa che il panificatore percepirà dal maggior corpo che la massa stessa andrà acquisendo; dall’altro lato, diminuirà la estensibilità del glutine, associata a un aumento della sua resistenza elastica.
L’ammuffimento del pane confezionato
Quando arriva l’estate, per i pani confezionati e, in particolare, per il pane di cassetta, si aggrava il problema dell’ammuffimento. Le alte temperature, infatti, favoriscono una rapida crescita delle spore depositatesi sul pane prima del confezionamento. I fattori che accelerano lo sviluppo della muffa nei prodotti della panificazione sono:
Pani poco cotti
Sulla umidità finale del pane influiscono la quantità d’acqua entrata nell’impasto, il tempo di cottura, la temperatura del forno. Il tempo di cottura sarà stabilito in base alla dimensione dei pani e allo spessore dello stampo metallico. Orientativamente, tuttavia, si può dire che il tempo di cottura ottimo per un pane di 600 grammi di impasto, cotto in stampi di 3 litri di capacità, è tra i 25 e i 30 minuti. Se il tempo di cottura è superiore, il pane sarà più secco, diventerà duro prima e la muffa si manifesterà più tardi; con un tempo di cottura inferiore, l’umidità del pane risulterà maggiore ma sarà maggiore anche il pericolo di un prematuro ammuffimento.
Confezionare senza raffreddare preventivamente il pane
Una volta che il pane esce dal forno, le migliori condizioni di raffreddamento sono in un ambiente climatizzato a 20°C e con il 65% di umidità. Una volta raggiunta all’interno del pane una temperatura di 33°C, si può procedere al confezionamento. Se la temperatura è superiore, invece, si produrrà una condensazione graduale sulla superficie della dell’involucro, che sarà poi un appropriato brodo di coltura per lo sviluppo di funghi.
Umidità dei pani raffreddati in superficie senza traspirazione
Una volta tolti i pani dagli stampi, devono essere posti per il raffreddamento in un contenitore metallico a maglia, con sufficiente spazio per l’aerazione. Quando l’ammuffimento si manifesta su un solo lato, bisogna prestare attenzione alla condensazione che si sviluppa per la mancanza di aerazione alla base del pane.
La mancanza di acidità
Il pH con valori compresi tra 5, 7 e 5, 9, o superiori, facilita la proliferazione microbica, non soltanto prodotta da muffe ma anche da filamento. La riduzione del pH causata da fermentazione prolungata o dall’aggiunta di qualche regolatore del pH, influisce sul tempo di conservazione. Per tutto questo, si può dire che i conservanti sviluppano la massima attività in ambiente acido. Per questo, nelle fermentazioni brevi, bisogna incrementare l’acidità con acido lattico, aceto, acido sorbico o acido citrico.