Riccardo Frola ha scritto:...cmq è un dolce tipico della pasticceria sicula...di preciso...dove sia nata...no l'ho mai saputo......Voi lo sapete?????????
un bacione

Le monache!!!! leggendo si è anche aperto un cassetto chiuso da tanto tempo della mia memoria! In effetti è nato come dolce per riciclare il pane duro.
Guarda:
http://www.palermoweb.com/panormus/gast ... nache3.htm Quando si preparava con il pane duro io non ero ancora nata...per fortuna

sono un "filino" più giovane.
Curiosando su internet ho trovato questo delizioso racconto di Giuseppe Di Bella...e questo me lo ricordo
“…dopo l’angolo con via La Loggia, c’era invece una piccolissima pasticceria artigianale gestita da due anziane signorine: antica vetrina in legno, antico bancone in legno e antiche facce … in legno, le due sorelle erano totalmente inespressive, ma nella offelleria esprimevano la summa del demone della gola, le cui vittime giacciono nell’inferno dantesco sotto una pioggia incessante (il sommo Poeta ci risparmia la materia di cui è composta la pioggia): “Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola, come tu vedi, a la pioggia mi fiacco”.
Il pezzo forte delle due sorelle era l’iris fritta farcita con crema di ricotta e diaboliche gocce di cioccolata: pasta soffice, frittura dorata non aggressiva né oleosa, crema di ricotta fresca lavorata con zucchero e sale in perfetto equilibrio, leggera e di gusto pieno, abbondanti gocce di cioccolata semi fusa all’interno: una pietra filosofale della gastronomia capace di trasformare il piombo in oro e il desiderio in gioia di vivere nella semplicità di quei tempi.
L’irraggiungibilità dell’iris era a Palermo un problema … sociale, perché comune a tanti ragazzini come me: ma c’era una possibile soluzione. Terribile …ma c’era. Davanti alla scuola stazionava perennemente la nemesi del desiderio: infatti un insensibile imprenditore, direi meglio cinico, di circa trent’anni, aveva assemblato con pezzi trovati qua e là, un grande triciclo sul quale aveva montato un cassone in legno, al cui interno teneva al caldo … l’oggetto del desiderio: l’iris (dolce nome).
Il meccanismo sperimentato dal molto pittoresco e altrettanto spietato individuo, che sfruttava la nostra incontenibile voglia, era quello della riffa: quando almeno cinque ragazzini convenivano al suo banco e quindi conferivano dieci Lire l’uno, raggiungendo la cifra di 50 Lire, questi tirava fuori un sacchetto coi numeri per la tombola e facendone estrarre uno ad ogni partecipante, aggiudicava e consegnava l’iris al fortunato che aveva estratto il numero più alto. E così questi mangiava l’iris, soddisfacendo stomaco ed ego e gli altri avevano la bella soddisfazione…di guardare afflitti da eccessiva salivazione. Faceva parte del gioco e del sadismo dei bambini, non cedere neanche una briciola dell’ambita preda ai perdenti: guai ai vinti.
Ogni tanto partecipavo a questa riffa e ricordo di avere vinto un paio di volte: ho rispettato il cerimoniale stabilito che non prevedeva appunto alcuna pietà … anzi…”