Le farine se tu stuzzichi, io scatto e, se anche non faccio più l’insegnante, devo averne un inprinting molto inculcato che mi fa scrivere sempre troppo.
Non esageriamo, ragazze, con la paura della dannosità delle farine !
Cerco di dirvi qualcosa (che molti di voi già sanno).
Macinando un cereale, il frumento in particolare, per prima cosa bisogna sapere qual è.
Allora esistono i frumenti teneri. E’ il
Triticum aestivum o
T. vulgare (che i Romani chiamavano
siligo parola con cui indicavano anche una farina bianca, molto ricercata a Roma e che veniva importata soprattutto dal Piceno, le Marche attuali.). La pianta ha un patrimonio genetico esaploide (cioè con 42 cromosomi) ed è un antichissimo ibrido naturale fra il
Triticum turgidum e un cerale selvatico, l’
Aegilops tauschii.
Nel tempo sono state selezionate numerose varietà adattate nell’ampia estensione colturale che, con la buona resistenza al freddo, consente d’esser coltivato anche nei paesi nordici.
Gli sfarinati del frumento tenero contengono 65-70% di amido, 8-12 % proteine, 1-2 grassi (nell’embrione), meno di 1% di sali minerali (ceneri), 10-15% acqua, vitamine, enzimi, ecc.
In funzione della macinazione o meglio, dell’abburattamento (quanta farina di ottiene da 100kg di frumento) si ha, in commercio:
Farina integrale (abburattamento 100), ricca di fibra, si usa per la preparazione di pane integrale
Farina di tipo 2 (abburattamento fra 90 e 100), per la preparazione di pane semintegrale
Farina di tipo 1 (abburattamento fra 80 e 90), per il pane “comune” e di seconda qualità
Farina di tipo 0 (abburattamento fra 75-80),per il “pane bianco”
Farina di tipo 00 (abburattamento fra 70-75) per prodotti di pasticceria
La differenza a 100 è rappresentata da cruschello, farinaccio e crusca, di solito, da uso zootecnico.
La farina “manitoba”si ottiene dalla macinazione di un frumento coltivato nelle regioni del nord America e nel Canada meridionale dove un tempo vivevano i pellerossa Manitoba.
Si ricava macinando
Triticum aestivum che, in quell’area produce una farina particolarmente ricca di glutenina e gliadina che lo fanno considerare un “semi-duro”.
Con il nome di “farina manitoba”spesso, però, si indica qualunque farina con quelle caratteristiche simili, oggi ottenibili anche da varietà del
Triticum aestivum selezionate geneticamente per lo stesso scopo.
Le due sostanze, glutenina e gliadina, sono due peptidi che, attivati dall'acqua ed energicamente impastati con quella, producono il glutine, una proteina a struttura reticolare ed elastica che ingloba i gas generati dalla lievitazione (“crescita” dell’impasto) con la formazione delle “bolle” che, fissate nella cottura, consentono la struttura spugnosa del pane e dei prodotti lievitati.
In pratica, per semplificare, la proteina “glutine" possiamo immaginarla come un gomito molto lasco che rende la massa di farina e acqua impastate, compatta, elastica e capace di trattenere l’amido e i gas.
Ogni farina genera glutine ma, in funzione della quantità di glutenina e gliadina, questo sarà più o meno e questo “più o meno” viene chiamato “forza della farina” misurato dalla correlazione tra gli indici di tenacità/resistenza e di estensibilità valutati, dopo un tempo di lievitazione standardizzato, da un particolare apparecchio, l’aveografo di Chopin.
La metodologia prevede di impastare, per otto minuti, 250g di farina con acqua appena salata, quindi farne cinque palline rotonde lasciate a riposo per 15 minuti a 25 °C.
Ora, in ognuna di queste si insuffla aria facendole gonfiare e, in funzione del volume che possono raggiungere fino a resistenza, si ricavano due parametri detti P e L rispettivamente relativi alla resistenza/tenacità ed alla elasticità. Da P ed L si ricava il valore W che rappresenta l’area di “panificabilità”. Ovviamente, più grande sarà quest’area, più sarà la “forza” la farina.
Di norma, il W varia da meno di 90 370-400.
Questo che, di massima, vi sottopongo è il significato applicativo del W:
Fino a W=170 le farine si considerano “deboli” e sono usate per biscotteria anche da lievitazione chimica, cialde, dolci friabili (crostata), per la besciamella, rapprendere salse, creme, ecc. cioè impieghi poco senso o nulla ha la lievitazione ed altrettanto poco valore è quello di trattenere acqua che, di norma, non supera mai il 50% del pesi di farina.
Fra W=180 e W=260, le farine si considerano “medie”; assorbono acqua fra 55% e 65% del loro peso per cui si impiegano per pane “francese”, panini all’olio o al latte, varie pizze, savarin, pasta “a mano” impastata con uova, ecc.
Fra W=280 e W=350 le farine si considerano “forti”, assorbono acqua in ragione ddal 65% al 75% del loro peso e sono adatte per il pane “classico”, la pizza, le paste all’uovo, la pasticceria di lievitazione lunga come le brioches, i babà, ecc.
Oltre i W 350 si parla di farine “speciali”, in genere in commercio come “manitoba”, sono capaci di assorbire acqua fino al 90% del loro peso. Si creano con particolari tipi di grano le cui farine sono usate per “rinforzare” quelle più deboli. Vengono impiegate nella pasticceria per dolci a lunga lievitazione e ricchi di grassi quali panettoni, pandori, colombe ecc. in cui si contrasta il carattere deprimente del grasso nei confronti del reticolo di glutine.
Vengono proposte quasi eslusivamente nel tipo “doppio zero”, finissime.
Una volta fatto l’impasto con farine di forza o di media forza, il glutine si snerva dopo 10 15 minuti mentre, se di farine a bassa forza, la snervatura avviene in soli 2-4 minuti.
Un recente DM, il 209/96 consenta l’aggiunta di acido ascorbico (vit. C), 20-25mg/kg, alle farine di bassa forza che, con la scusa d’essere un antiossidante, in realtà aumenta la forza della farina a costo molto più basso delle vitamine di forza. In casa, può funzionare anche qualche goccia di succo fresco di limone in ragione di 50-60 ml/kg di farina.
Quella “manitoba”, semplifica la digestione (come le doppio zero) ma influiscono negativamente aumentando gli indici glicemico e insulinico per la rapida messa in circolo di glucosio e, sicuramente, facilita l’accumulo di grasso per il basso senso di “riempiemento” che invoglia a mangiare di più di quanto serve.
Queste farine (ma a noi non interessa) sono usate anche per produrre il seitan, un concentrato di proteine estratte industrialmente dallo sfarinato.
Dal grano duro (
Triticum turgidum,. subsp.
durum) si ottine uno sfarinato che, per legge, non è “farina” ma “semola". Le cariossidi di questo frumento sono di rottura difficile per cui lo sfarinato si presenta a grana grossa, con spigoli netti e possiede un colore giallo-ambrato che si ritrova anche sui prodotti ottenuti. Rispetto alla farina, fra il resto, ciò che maggiormente interessa è il contenuto delle due gliadina e glutenina nettamente superiori, per legge superiori a 11,5, ma in pratica oltre 14-15% quindi con maggiore capacità di generare glutine che consente, nell’impasto, maggiori tenacità/resistenza ed estensibilità, in pratica un W molto alto con maggiore assorbimento di acqua.
In commercio si trovano: semola integrale di grano duro, semola e semolato legalmente definiti da alcuni parametri.
Macinando ulteriormente la semola si ottiene il "semolino" o “semola rimacinata” o “rimacino”, tout court, che ha una granulometria molto inferiore rispetto alla semola. Trova impiego per la panificazione sia allo stato puro che mescolato con farine di grano tenero, comunque apprezzato perché da un pane a pasta gialla molto saporito, facile a conservazione.
I prodotti della semola hanno un minore indice glicemico rispetto alle farine e contengono vari pigmenti organici che, con effetto antiossidante, sono grado di complessare, cioè rendere inefficaci, i radicali liberi.
Legge n. 580/67 e le sue successive modifiche, la impongono per lapreparazione della “pasta secca”.
La preoccupazione maggiore è quella della presenza di aflatossine (chiaramente e documentatamente cangerogene). Sono prodotte da certe muffe che, o si erano insediate nella spiga e nelle cariossidi poi trascinate negli sfarinati, o sviluppate successivamente su ammassi di sfarinati umidi. Ma se mi metto su questo problema, non finisco più.